Venerdì sera, migliaia di persone, perlopiù commercianti, a Napoli si sono dati appuntamento davanti al palazzo della Regione Campania per protestare contro l’annuncio del governatore Vincenzo De Luca di imporre un nuovo lockdown. Al grido “tu ci chiudi e tu ci paghi”, titolari di bar, ristoranti e piccoli esercizi hanno inscenato una manifestazione non autorizzata, che nella tarda serata è degenerata. Un gruppo di facinorosi si è staccato e ha iniziato ad attaccare la polizia, provocando scontri violenti. Secondo il Ministero dell’Interno, nella manifestazione vi sarebbero state infiltrazioni di camorra e soggetti appartenenti a centri sociali e Forza Nuova.
Lasciamo da parte quest’ultima parte e concentriamoci sul significato di quant’è avvenuto: per la prima volta da marzo, un gruppo di cittadini si è riunito spontaneamente, attraverso il tam-tam sui social, per dire “basta” alle restrizioni imposte dalle istituzioni e ai danni sia della libertà individuale, sia delle attività produttive. Anche ieri a Napoli si sono registrate nuove proteste, stavolta per fortuna senza incidenti. Le manifestazioni si sono moltiplicate, da Palermo ad Aosta, segnalando un clima di estrema tensione per l’ennesimo Dpcm del governo Conte, che da oggi e fino al 24 novembre nei fatti imporrà a 60 milioni di italiani un semi-lockdown. Le categorie più colpite sono ristoratori, titolari di bar, palestre e piscine.
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Perché la miccia è esplosa a Napoli? Lì, un De Luca in costante versione “lanciafiamme” aveva pensato bene di trattare i suoi corregionali come figli minorenni e minorati. I toni arroganti e l’assenza di consultazione con le categorie colpite, unitamente alla mancata previsione di ristori immediati per le perdite accusate, hanno esasperato un clima già caldo. Le regioni hanno subito colto il segnale e si sono opposte, con scarso successo, al contenuto ben più restrittivo del nuovo Dpcm del premier Giuseppe Conte.
Rischio di proteste violente e diffuse
Il governo ha fiutato che l’aria è cambiata e nella conferenza stampa di ieri alle 13.30, il premier ha usato toni più rassicuranti circa la capacità dello stato di provvedere subito ai ristori. Fatto sta che lo stato si è fatto trovare impreparato anche alla seconda ondata di contagi, prevista persino dalle pietre. I cittadini, che avevano accettato senza fiatare i sacrifici loro imposti a marzo, trattandosi di un evento imprevedibile e senza dirette responsabilità delle istituzioni, adesso non si mostrano più disponibili a compierne di altri, a fronte di una organizzazione statale inadeguata. Sono passati sette mesi e mezzo dal primo lockdown e da allora i progressi negli ospedali sono stati scarsi, i mezzi pubblici sono rimasti iper-affollati e le scuole si sono rivelate l’ennesimo flop di Conte, dopo mesi di dibattito astruso sui banchi a rotelle.
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Napoli non rimarrà un caso isolato. L’Italia non ha saputo sfruttare bene la tregua concessale dalla pandemia in estate e il governo, che pure godeva di un consenso elevato fino a poche settimane fa, lo ha sfruttato per compiere un’azione di bassa propaganda fine a sé stessa. L’improvvisazione e l’inadeguatezza di molti suoi componenti sono stati la miccia che ha già fatto esplodere un clima di dissenso aperto nel Paese. Dei 750 miliardi della “potenza di fuoco” promessa da Conte non si sono viste neppure le briciole. Alcune categorie hanno ricevute miserie, mentre centinaia di migliaia di dipendenti pubblici nei fatti continuano a percepire una mensilità dopo l’altra senza lavorare. Perché per loro, “smart working” sta significando in moltissimi casi starsene a casa senza fare nulla, un po’ perché mancano i controlli, un po’ anche perché non sono coordinati e messi nelle condizioni di produrre alcunché di utile per l’utenza.
A fronte di una Pubblica Amministrazione collassata e sostenuta dallo stato senza tentennamenti, il settore privato viene sacrificato ulteriormente con l’ultimo Dpcm. La solita Italia di figli e figliastri genera rabbia, se non vero odio nei confronti delle istituzioni. La maggioranza ripete colpevolmente l’errore dei mesi scorsi di non confrontarsi né con le opposizioni e né con le categorie produttive, mentre il Quirinale si limita a qualche appello inascoltato alla collaborazione e, però, ad oggi non sembra muovere un dito per alimentare un nuovo clima di dialogo nel Paese. Questo parlarsi tra sordi è e sarà il vero detonatore delle proteste diffuse, che rischiano di essere violente fin dal loro sorgere. E non confortiamoci con la storia che a Napoli vi siano state infiltrazioni esterne, perché nella disperazione anche il buon cittadino può essere tentato di rompere con la legalità.