Si mostrano in lieve ripresa le quotazioni del petrolio nella mattinata di oggi, dopo avere chiuso il venerdì scorso in calo del 2% sui dati del lavoro negli USA ad ottobre, migliori delle attese, che hanno avvicinato realmente il rialzo dei tassi da parte della Fed. Al momento, il prezzo del Wti americano sale di 28 centesimi a 44,57 dollari al barile, mentre quello del Brent avanza di 17 centesimi a 47,59 dollari. A sostenere in queste ore i prezzi ci sono i dati dell’import-export della Cina ad ottobre, la cui lettura dovrebbe essere abbastanza negativa, ma che evidentemente è stata interpretata diversamente dagli investitori.
Economia cinese rallenta
Perché questi dati sono stati interpretati, tutto sommato, positivamente per il mercato del greggio? Perché nonostante la Cina stia assistendo chiaramente a una fase di deciso rallentamento della sua economia, continua a mostrarsi intenzionata a non tagliare rispetto al 2014 le sue importazioni di petrolio, accumulandolo tra le riserve strategiche, approfittando dei bassi prezzi. Questo discorso è vero fino a un certo punto. Anzitutto, i dati di cui sopra segnalano che la seconda economia del pianeta è in affanno e rappresentando il 14% del pil mondiale e l’11% dei consumi di greggio, la notizia è tutt’altro che rassicurante per le commodities. Secondariamente, aumenta l’attività di raffinazione in Cina, ma ciò inizia ad impattare sulle importazioni stesse di prodotti raffinati, in calo del 25% su base mensile e dell’11% rispetto a un anno prima.
Produzione petrolio USA appare in calo
A sostegno dei prezzi c’è anche il calo dei pozzi estrattivi attivi negli USA di 6 unità a 572 al termine della settimana scorsa, stando a Bagher Hughes, il decimo consecutivo, a dimostrazione che i produttori americani starebbero tagliando l’offerta, concentrandosi sui siti più redditizi.