Entro stasera, la Camera dovrebbe licenziare il testo di riforma sulla legge elettorale, che grazie al voto di fiducia apposto dal governo, quasi certamente può considerarsi già approvato. Pur non avendo i numeri al Senato, causa opposizione dell’ala sinistra della coalizione, la maggioranza dovrebbe essere ugualmente in grado di far passare il cosiddetto “Rosatellum”, in quanto gran parte delle opposizioni, tra cui Forza Italia e Lega Nord, pur non potendo votare la fiducia, lascerebbe l’Aula, in quanto favorevole alla riforma.
Le critiche più veementi stanno arrivando da Movimento 5 Stelle e Movimento democratico e progressista. I grillini parlano di “emergenza democratica” ed entrambi si oppongono a una legge elettorale, che a loro dire creerebbe un Parlamento di nominati per i due terzi dei suoi componenti. Il riferimento è al nuovo meccanismo di elezione di deputati e senatori: quasi i due terzi verranno assegnati con il sistema proporzionale, ovvero tramite collegi plurinominali di pochi seggi, al fine di consentire all’elettore di conoscere meglio chi siano i candidati in corsa per ciascuno schieramento. Il restante terzo dei seggi verrà assegnato con il sistema uninominale, ovvero senatori e deputati si candideranno uno per ogni partito o schieramento e risulterà eletto l’unico che otterrà più voti.
Sarà, quindi, un ennesimo Parlamento di nominati, in continuità con le legislature sortite dal “Porcellum”? Sì e no. Il discorso diventa un po’ più complesso di quello che appare. E’ vero, non saranno reintrodotte le preferenze con il proporzionale, eliminate nel 1992-’93 a furor di popolo con un referendum, considerate causa di clientelismo e malaffare, specie al Sud. Va detto, poi, che le preferenze non esistono in quasi nessun paese al mondo in cui il Parlamento venga eletto in tutto o in parte con il sistema proporzionale.
Mancano partiti “democratici”
E allora, o tutte le liberaldemocrazie (o quasi) sarebbero fittizie e darebbero vita ad assemblee elettive di fantocci, oppure c’è una qualche peculiarità italiana negativa. La seconda ipotesi è quella corretta. In Italia, l’essere “nominato” deputato o senatore dipende dall’assenza di meccanismi democratici nella selezione dei candidati nei vari partiti o schieramenti. Tizio viene collocato in posizione n.1 di una lista bloccata del partito X e automaticamente è certo di entrare in Parlamento. Ora, se la sua collocazione in una data posizione in lista fosse frutto di congressi o primarie interne al partito, nulla da eccepire, perché è così che avviene nel resto del mondo. Se, invece, è semplicemente conseguenza del benvolere del segretario/leader del partito, diventa semplice cooptazione. E da che mondo è mondo, i cooptati sono quasi sempre gente poco capace, non meritevole e certamente rispondono al capo, non agli elettori, che quasi non recitano alcun ruolo nella sua elezione.
E allora, hanno ragione i detrattori del Rosatellum a stigmatizzare che anche il prossimo Parlamento sarà affollato da lacchè e tirapiedi, ma non è la legge elettorale in sé la causa, quanto l’assenza dei partiti politici propriamente detti e di annesse regole selettive democratiche interne. L’Italia non sarà (o tornare ad essere, a seconda dei punti di vista) una democrazia matura, fino a quando una legge non imporrà ai partiti di dotarsi di strutture democratiche sul piano della selezione dei dirigenti e dei candidati. Possiamo dilaniarci quanto vogliamo sui meccanismi elettorali più efficienti o meno, ma senza questo particolare, ogni riforma sarà solo un maquillage della tanto “amata” logica del Porcellum. (Leggi anche: Riforma elettorale: Mattarella si appella ai partiti, che vogliono fregare gli italiani)