Leggere email personali a lavoro, si rischia il licenziamento?

Leggere e.mail personali sul posto di lavoro, si rischia il licenziamento? A rispondere è la Corte di Cassazione, sezione lavoro.
8 anni fa
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donne licenziate

Leggere email personali a lavoro si rischia il licenziamento? A rispondere la sentenza n. 6222/14 della Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro.
La Suprema corte ha esaminato il caso di un uomo che impugnato il licenziamento disciplinare , dopo una sospensione cautelare. La contestazione disciplinare era dovuto all’uso improprio di strumenti di lavoro. Veniva addebitato al lavoratore l’uso del PC affidatogli, delle reti informatiche e della casella elettronica.

Licenziamento: la comunicazione disciplinare

Il lavoratore porta a conoscenza della Corte, come si legge in sentenza, la comunicazione dell’addebito:

  • “uso improprio da parte sua di strumenti di lavoro aziendali e, nella specie, del P.C. a lei affidato, delle reti informatiche aziendali e della casella di posta elettronica”….;
  • “di programmi coperti da copyright non forniti dall’azienda e non necessari” per lo svolgimento di attività; di installazione nello stesso PC, oltre ai programmi in dotazione, di “software diversi non forniti dall’azienda e non necessari;
  • dell’avvenuta utilizzazione per innumerevoli volte durante l’orario lavorativo della casella di posta elettronica di dominio aziendale per scopi personali non giustificati, “eludendo le chiare informative e molteplici preavvisi effettuati dall’azienda”.

Leggere email personali e licenziamento: la decisione della corte di Cassazione

La Corte dopo un’attenta analisi, deduce la nullità della sanzione, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno.

Nella sentenza la Cassazione che “La valutazione della gravita’ dell’inadempimento dal lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione attiene a questioni di merito che, ove risolte dal giudice di merito con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione sufficiente e non contraddittoria, si sottraggono al riesame in sede di legittimità”.

Inoltre ricorda che la: “rilevata presenza di materiale pornografico non corrisponde ad una specifica contestazione di addebito formulata con la suddetta lettera.

E conclude facendo riferimento alla sentenza emessa dal giudice di appello: “il giudice di appello ha inoltre omesso la valutazione della gravita’ dell’inadempimento sotto il profilo delle conseguenze pregiudizievoli per l’azienda dell’installazione di programmi coperti da copyright, come della violazione delle disposizioni impartite per l’uso del computer.

Licenziamento: ricorso nullo

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 6222/14, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

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