Bassa crescita innalza il debito/pil
Ma la sola spesa per interessi non spiega l’impennata del rapporto debito/pil negli ultimi anni. Ad avere provocato un innalzamento di tale ratio è stata la bassissima crescita nominale del pil, data dalla somma tra crescita reale e inflazione cumulate. Nel decennio 2006-2015, il pil è sceso in termini reali del 5,1%, mentre l’inflazione è stata complessivamente dell’11,5%. Ciò significa che la crescita del pil nominale è stata di circa il 5,5%, quando lo stock del debito, dicevamo, è cresciuto nel frattempo di oltre il 37%.
Risanamento conti pubblici fermatosi al 2012
Ma c’è poco spazio per le scuse: nel 2012, l’Italia ha pagato per il suo debito 89 miliardi, mentre nel 2015, grazie solamente alla politica di forte accomodamento monetario adottata dalla BCE, il costo è crollato a 70 miliardi, ovvero al 4,2% del pil, in calo di 5 miliardi dal 2014 e -7 miliardi rispetto alla media del decennio. Tuttavia, questa fase brillante sui mercati finanziari non è stata sfruttata dal governo per irrobustire i conti pubblici, visto che la discesa della spesa per interessi assorbe per intero il piccolo miglioramento nel rapporto deficit/pil, sceso presumibilmente al 2,6% dal 3% dell’anno precedente. Nel 2013, ad esempio, a fronte di una spesa per interessi dello 0,4% di pil in meno, il deficit è sceso solamente dello 0,1% al 2,9%, sostanzialmente “sprecato” per l’assenza di miglioramento sul fronte dell’avanzo primario. Peggio è accaduto nel 2014, quando a fronte di un risparmio di 7 miliardi (0,4% del pil), il deficit è persino salito lievemente al 3%.