Era l’estate del 2011 e il clima era caldo torrido sui mercati finanziari. Il 5 agosto, la BCE inviò al governo Berlusconi una lettera con la quale gli chiedeva la realizzazione di diverse decine di riforme per potenziare il tasso di crescita dell’economia italiana e abbattere il debito pubblico in rapporto al PIL. Avrebbe dovuto rimanere segreta, mentre fu resa pubblica dai media a settembre. E provocò un terremoto politico di magnitudo 10 della scala Richter.
Quella lettera BCE era a firma del governatore uscente Jean-Claude Trichet e del suo successore Mario Draghi.
Quel che accadde è storia. Silvio Berlusconi sale al Quirinale per dimettersi e il presidente Giorgio Napolitano affida il mandato di formare il nuovo governo al Prof Mario Monti. Segue una legge di Stabilità “lacrime e sangue”, contenente la legge Fornero sulle pensioni. Il deficit scenderà appena sotto il 3% del PIL, ma l’economia italiana rimarrà in profonda recessione per tre anni e il rapporto debito/PIL, anziché scendere, passa dal 119% al 135% prima del Covid.
Lettera BCE e differenze con oggi
La lettera BCE non provocò da sola la caduta del governo Berlusconi. Esso era sull’orlo del precipizio e semmai gli diede la spinta finale. Ma allora perché nell’anno 2021 nessuna istituzione internazionale si affanna più a chiedere all’Italia passi immediati per abbattere un debito pubblico al 160% del PIL? Per prima cosa, perché in questi dieci anni tutti hanno capito in Europa che le riforme non si fanno dalla mattina alla sera e che non esitano immediatamente i risultati pretesi.
Nel 2011, Francoforte credeva che l’Italia avrebbe potuto e dovuto varare una cinquantina di riforme tutte assieme e in poco tempo.
La differenza tra il 2011 e il 2021 sta tutta qui. Un debito a meno del 120% del PIL ci costava allora un’ottantina di miliardi di interessi, oggi al 160% sui 65 miliardi. Alle spalle c’erano stati i salvataggi di Grecia, Irlanda e Portogallo con le tensioni che ne erano seguite sui mercati. Oggi, sappiamo che l’Eurozona non farebbe mai fallire un suo stato membro, né tornare alla moneta nazionale. Un quadro completamente diverso, insomma, perlopiù grazie all’operato di Draghi come governatore. E anche la comunicazione della BCE, pur a tratti incerta, è di molto migliorata.