Fase negativa sui mercati dei cambi per l’euro. Da inizio anno, la moneta unica si è deprezzata contro alcune delle principali valute mondiali. Contro il dollaro è arrivata a scambiare sotto 1,08 in settimana, portando le perdite a oltre il 3,5% nel 2020 e scendendo ai minimi da aprile 2017, prima che iniziasse il rally fino agli inizi dell’anno successivo, sostenuto dalla vittoria di Emmanuel Macron alle elezioni presidenziali in Francia. Ma anche contro la sterlina si registra un certo deprezzamento. Rispetto ai massimi toccati nell’agosto scorso, segna un pesante -9,5%, ai minimi dalla fine del 2017.
Cambio euro-dollaro finito in trappola
Il fatto è che l’inflazione nel Regno Unito a gennaio ha sorpreso al rialzo, accelerando dall’1,3% di dicembre all’1,8%, restringendo i margini di manovra della Banca d’Inghilterra per un possibile taglio dei tassi. E così, un euro è arrivato a comprare meno di 0,83 sterline nel corso della settimana, sebbene per arrivare allo 0,75 immediatamente precedente il referendum sulla Brexit di 4 anni fa manchi ancora un ulteriore calo nell’ordine di un altro quasi 10%.
Vola il franco svizzero
Infine, il franco svizzero. Porto sicuro per i capitali mondiali, meta piuttosto trafficata lo stato alpino di questi tempi, specie con il diffondersi del Coronavirus. La valuta elvetica guadagna circa il 2% quest’anno contro l’euro, scambiando in area 1,06, ai livelli più forti dall’agosto 2015. Siamo a un tasso di cambio critico, perché nessuno ignora tra gli investitori che la Banca Nazionale Svizzera, dopo avere abbandonato la difesa del cambio minimo di 1,20 nel gennaio di 5 anni fa, ne abbia fissato un altro informale e non dichiarato a 1,05.
Perché il franco svizzero è nella lista nera di Trump
E manca poco che quel livello venga toccato, costringendo l’istituto ad intervenire sui mercati con acquisti massicci di assets in valute straniere.
Quella che spesso viene definita la “locomotiva d’Europa” è da mesi in panne. La Germania ha smesso di crescere e rischia la recessione, specie se lo stop alla produzione in Cina, conseguenza della pandemia, dovesse prolungarsi anche dopo marzo. L’economia tedesca è fortemente dipendente dalle esportazioni e Berlino non segnala di voler sostenere la domanda aggregata interna per compensare la debole congiuntura internazionale.
Bassi tassi ancora a lungo?
Per tutte queste ragioni, la BCE si guarda bene dal cessare gli stimoli monetari, così come dal paventare un rialzo dei tassi nei prossimi mesi. Avendo da poco riattivato gli acquisti di assets con il “quantitative easing”, i rendimenti sovrani nell’area si sono schiantati su livelli bassissimi e spesso prossimi ai record minimi segnati nell’estate scorsa, agevolando i deflussi dei capitali, alla ricerca di “yield”. Eppure, i fondamentali suggeriscono che l’euro non sia destinato a restare debole a lungo. Lo scorso anno, l’Eurozona ha chiuso con un saldo corrente in attivo di 362 miliardi, il 3,1% del pil, identica percentuale dell’anno precedente, quando il saldo si attestò a 359 miliardi.
Nell’arco di un biennio, quindi, l’area ha accumulato esportazioni nette di merci, servizi e capitali per oltre 720 miliardi di euro. Queste cifre potranno pure sgonfiarsi nel caso in cui le esportazioni diminuissero, ma restando positive. Dunque, la domanda di euro non dovrebbe abbassarsi a livelli tali da farne prevedere cali ulteriori sostenuti e prolungati, sebbene nel breve hanno spesso la meglio i movimenti di natura finanziaria, di per sé veloci e dall’impatto immediato e marcato sul forex.
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