L’Europa resta la patria dei tassi negativi, banche centrali in affanno

La stretta monetaria globale ha quasi portato alla scomparsa dei tassi negativi, ma l'Europa ne resta la patria
2 anni fa
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Negli ultimi anni, i mercati finanziari sono stati scombussolati dall’attecchimento dei tassi negativi tra le grandi banche centrali, che a sua volta ha portato alla diffusione dei rendimenti negativi per gran parte dei bond. Dall’apice di oltre 18.500 miliardi di dollari toccati nel dicembre 2020, tuttavia, siamo scesi oramai a poche decine di titoli ad essere ancora interessanti dal fenomeno e per un controvalore di qualche migliaio di miliardi di dollari. Si tratta perlopiù di bond del Giappone fino alle medio-lunghe scadenze.

Insieme alla BCE, infatti, Tokyo resta la grande banca centrale a non avere ancora alzato i tassi e neppure prospettato di farlo.

Ma i tassi negativi non sono scomparsi in termini reali, cioè una volta che teniamo conto dei tassi d’inflazione. Questa settimana, dalla Federal Reserve alla Banca d’Inghilterra e, a sorpresa, la Banca Nazionale Svizzera, hanno alzato il costo del denaro. Al termine di tali annunci, ecco qual è la situazione tra le principali economie avanzate del pianeta:

  1. Nuova Zelanda 2%
  2. Corea del Nord 1,75%
  3. USA 1,75%
  4. Canada 1,50%
  5. Regno Unito 1,25%
  6. Australia 0,85%
  7. Norvegia 0,75%
  8. Svezia 0,25%
  9. Giappone -0,10%
  10. Svizzera -0,25%
  11. Eurozona -0,50%
  12. Danimarca -0,60%

Sulle otto suddette economie, ben quattro ancora adottano tassi negativi. In fondo alla classifica troviamo tre paesi europei, ossia Svizzera, Eurozona e Danimarca. In alto, abbiamo l’area del Pacifico, vale a dire Nuova Zelanda, Corea del Nord e USA. Tra la banca centrale con il tasso d’interesse più alto e quella con il tasso d’interesse più basso, la differenza è di 260 punti base o 2,60%.

I tassi negativi non sono scomparsi affatto

Ma se passiamo dai tassi nominali a quelli reali, scopriamo che tutte le economie avanzate del pianeta abbiano ancora tassi negativi e vistosamente bassi. Ecco come cambia la classifica:

  1. Giappone -2,6%
  2. Svizzera -3,15%
  3. Corea del Sud -3,65%
  4. Australia -4,25%
  5. Nuova Zelanda -4,9%
  6. Norvegia -4,95%
  7. Canada -5,30%
  8. USA -6,85%
  9. Svezia -7,05%
  10. Regno Unito -7,75%
  11. Danimarca -8%
  12. Eurozona -8,6%

L’Eurozona scavalca la Danimarca e si porta stavolta all’ultimo posto in classifica, adottando i tassi reali più negativi del mondo avanzato.

Viceversa, il Giappone sale al primo posto, pur a fronte di tassi nominali negativi. Infatti, l’inflazione nel Sol Levante si attesta ancora al 2,5%. Per quanto bisognerebbe più correttamente correggere i tassi nominali per le aspettative d’inflazione a breve e medio-lungo termine, resta il fatto che ovunque per il momento i tassi d’inflazione superino abbondantemente i tassi d’interesse. L’era del denaro facile non è affatto finita.

Il caso più rischioso certamente si ha nell’Eurozona. Se la BCE non sarà presto in grado di contenere l’inflazione con una stretta sui tassi, potrebbe assistere a una caduta rovinosa dell’euro sui mercati forex. Lo spread tra primo e ultimo posto in questa seconda classifica sale a 600 punti base o 6%. In pratica, i tassi reali da noi risultano del 6% più bassi che a Tokyo. Chi vorrà mai investire in un’area, dove i capitali ottengono ancora rendimenti mostruosamente sottozero, quando altrove riuscirebbero a spuntare condizioni migliori e tendenzialmente positive da qui ai prossimi mesi? Senonché, come il cane che si morde la coda, più il cambio s’indebolisce e maggiore l’inflazione importata.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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