Bisogna alzarsi prestissimo per mettersi in fila dinnanzi ai panifici e sperare di riuscire a comprare un po’ di pane. Per tutti gli altri quasi non esiste alcuna speranza. E’ solo la punta dell’iceberg della crisi economica devastante che sta travolgendo il Libano ormai da quasi tre anni. Il paese importa quasi tutto quello che consuma e circa l’80% del grano gli arriva da Russia e Ucraina. I due paesi in guerra hanno siglato un accordo per lo sblocco delle esportazioni la settimana scorsa.
Crisi Libano, aiuti col contagocce
Il Parlamento ha da poco approvato gli aiuti di 150 milioni di dollari stanziati dalla Banca Mondiale, destinandoli all’acquisto di grano. Secondo il ministro dell’Economia, Amin Salam, dovrebbero servire per i prossimi otto mesi. Ma la vera speranza è che nel frattempo il paese riesca a stringere un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per ottenere 3 miliardi di dollari di prestiti. Ci sta provando da anni, ma il pomo della discordia resta lo stesso: le riforme.
Il premier incaricato Najib Mikati non riesce a formare il nuovo governo, a causa delle tensioni settarie tra i vari gruppi politici e religiosi. Una paralisi che non consente all’FMI di ricevere sufficienti garanzie circa l’implementazione delle riforme. Il PIL libanese è crollato dai 55 miliardi di dollari del 2019 ai 21,8 miliardi dell’anno scorso. Per la Banca Mondiale, si tratta di una delle peggiori crisi dall’Ottocento ad oggi nel mondo.
A giugno, il tasso d’inflazione era del 210%. In pratica, i prezzi più che triplicano su base annua. Per i generi alimentari, più che quadruplicano. Il cambio ha perso il 90% dall’autunno del 2019.
La paralisi politica ferma le estrazioni del gas
Il Libano è in default dal marzo 2020. Detiene un debito pubblico esploso al 170% del PIL. Non essendovi più dollari in cassa per le importazioni, gli acquisti di prodotti dall’estero sono stati razionati dal governo. Ed ecco che la carente offerta interna sta alimentando la corsa dei prezzi. Come se di guai non ve ne fossero fin troppi, nell’agosto del 2020 Beirut fu sconvolta da una potente esplosione al porto, che ha distrutto i silos di grano. E così il paese si ritrova senza scorte alimentari, mentre studia il modo di disseminare il proprio territorio di nuovi silos per evitare in futuro di rimanere a secco.
La fame spinge la popolazione locale a prendersela con i rifugiati siriani, che qui sono ben 1,3 milioni su 6 milioni di libanesi. A loro è destinato il 40% della farina a prezzi politici. Eppure, dovrebbero biasimare essenzialmente i loro politici. Pensate che al largo delle coste libanesi vi sono giacimenti di gas, che Beirut non riesce a sfruttare e che potrebbero far svoltare l’economia domestica, nonché ridurre la dipendenza mondiale dalla Russia. Il guaio è che Hezbollah, una formazione paramilitare sciita con forti legami con l’Iran, crea tensioni con il confinante stato di Israele e persino con l’Arabia Saudita, rendendo impossibile un accordo sulle estrazioni. La francese Total, l’italiana Eni e la Russia sono lì pronte per attendere il via libera alle trivellazioni. La paralisi libanese sta impedendo persino questo.