La Corte di Cassazione ha recentemente riaffermato un principio fondamentale nel rapporto tra diritti del lavoratore e doveri nei confronti del datore di lavoro. Il licenziamento per abuso permessi 104 può essere considerato pienamente legittimo quando emerge una condotta non conforme allo spirito della norma.
Con l’ordinanza n. 5906 del 5 marzo 2025, il massimo organo giurisdizionale ha respinto il ricorso di un dipendente accusato di aver sfruttato i permessi previsti dalla Legge 104/1992 per finalità estranee all’assistenza di un familiare con disabilità.
Abuso permessi 104: il contesto normativo
La Legge 104/1992 riconosce al lavoratore dipendente il diritto a fruire di tre giorni retribuiti al mese (frazionabili anche in ore) per assistere un parente in condizioni di disabilità grave.
Si tratta di un beneficio consolidato nell’ordinamento italiano, volto a tutelare la dignità e i bisogni delle persone non autosufficienti, facilitando nel contempo la conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari.
Tuttavia, il godimento di questo diritto è subordinato a un vincolo imprescindibile: i permessi devono essere impiegati per effettive attività di supporto al familiare disabile. Qualsiasi deviazione da questo principio può comportare serie conseguenze disciplinari, fino alla cessazione del rapporto di lavoro.
Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione
Il pronunciamento della Cassazione prende le mosse da una vicenda giudiziaria che ha coinvolto un dipendente, licenziato per aver utilizzato i giorni di permesso 104 per attività personali non connesse all’assistenza. Secondo quanto accertato in sede d’appello, l’interessato avrebbe dedicato alla persona assistita — una zia in condizione di disabilità — solamente una minima parte della giornata, circa mezz’ora, utilizzando il restante tempo per svolgere attività ricreative, tra cui uscite in barca a vela.
Il lavoratore aveva impugnato il provvedimento disciplinare, sostenendo che alcuni elementi probatori, tra cui l’orario di inizio della prestazione lavorativa, non fossero stati valutati adeguatamente. Tuttavia, la Suprema Corte ha confermato le conclusioni della Corte d’Appello di Catania, ritenendo che la valutazione dei fatti fosse di esclusiva competenza del giudice di merito.
Proporzionalità della sanzione e ruolo del contratto collettivo
Un aspetto significativo della sentenza è l’affermazione della proporzionalità del licenziamento rispetto alla gravità della condotta. La Cassazione ha evidenziato che, sebbene il contratto collettivo applicabile al caso contemplasse sanzioni meno gravi per altri comportamenti illeciti, l’utilizzo distorto dei permessi 104 rappresenta una violazione talmente rilevante da giustificare l’interruzione immediata del rapporto di lavoro.
La decisione sottolinea implicitamente che il rispetto della buona fede contrattuale è un caposaldo nei rapporti di lavoro: approfittare di un beneficio normativo destinato all’assistenza di soggetti fragili per svolgere attività private configura una lesione grave dell’affidamento fiduciario.
Quando si configura l’abuso permessi 104
L’abuso dei permessi 104 non è legato strettamente alla presenza fisica costante presso l’abitazione della persona assistita. Le norme, e la giurisprudenza stessa, interpretano il concetto di “assistenza” in maniera funzionale e flessibile, tenendo conto delle necessità reali del disabile. È quindi legittimo, ad esempio, svolgere come attività durante i permessi 104 le commissioni per conto del familiare, recarsi in farmacia, o gestire pratiche burocratiche a suo favore, anche se ciò comporta un’assenza momentanea dalla sua presenza.
Il discrimine fondamentale risiede nella finalità delle attività svolte durante i permessi. Qualsiasi utilizzo per scopi puramente personali, che non apporti un beneficio concreto al soggetto disabile, è considerato un uso distorto del diritto. In questo senso, la giurisprudenza ha chiarito che non basta dimostrare genericamente di essere “a disposizione” del familiare, ma occorre che le azioni compiute siano coerenti con il bisogno di assistenza.
La linea della giurisprudenza
Non è la prima volta che la Corte di Cassazione si esprime in materia di licenziamento per abuso permessi 104. In diverse pronunce precedenti, è stato chiarito che l’assistenza può includere un ampio spettro di attività: dall’accompagnamento alle visite mediche fino alla gestione della vita quotidiana del familiare con disabilità. Tuttavia, la Corte ha sempre precisato che tale elasticità interpretativa non può trasformarsi in una licenza per assentarsi dal lavoro senza una reale necessità assistenziale.
In sostanza, ciò che rileva è il rispetto dello scopo per cui il permesso è concesso. Quando questo viene eluso in modo sistematico o volontario, anche in assenza di una specifica definizione normativa, si concretizza una violazione del rapporto fiduciario tale da giustificare il licenziamento per giusta causa.
Considerazioni conclusive sull’abuso permessi 104
Il caso analizzato dalla Corte Suprema ribadisce un principio chiaro e non negoziabile: i permessi previsti dalla Legge 104 devono essere utilizzati esclusivamente nell’interesse del familiare disabile. Qualsiasi uso improprio, anche se parziale o occasionale, può compromettere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro e portare a conseguenze gravi.
Il licenziamento per abuso permessi 104 è dunque una misura estrema, ma giustificata nei casi in cui venga accertata una condotta contraria ai principi di correttezza, buona fede e rispetto della finalità del beneficio. In un sistema che tutela i lavoratori ma anche l’efficienza delle imprese e il corretto uso delle risorse pubbliche, il bilanciamento tra diritto e responsabilità resta fondamentale.
Riassumendo
- La Cassazione conferma ancora una volta il licenziamento per abuso dei permessi legge 104/1992.
- I permessi devono essere usati solo per assistenza a familiari con disabilità grave.
- L’assistenza può includere attività indirette, ma deve avere finalità realmente assistenziali.
- Usare i permessi per scopi personali viola la buona fede contrattuale.
- Il licenziamento è legittimo anche se il contratto collettivo prevede sanzioni minori.
- La giurisprudenza richiede coerenza tra uso del permesso e bisogni del disabile.