Quando lo stato italiano deve fare cassa, ecco che il tema dell’uso del contante torna in auge. E anche stavolta, il premier Giuseppe Conte lo ha tirato in ballo, ma a differenza dei suoi predecessori ha usato toni rassicuranti, quasi da velluto, quando ha spiegato l’altro ieri, nel corso degli Stati Generali sull’economia, che la digitalizzazione dell’Italia non punta semplicemente a recuperare il gettito fiscale che ogni anno lo stato perderebbe a causa dell’economia sommersa e stimato in almeno 110 miliardi di euro.
Cos’è la tassa sul contante che Renzi vuole imporre al 10-15%?
Egli l’ha definita una “transizione gentile”, un modo per smarcarsi dall’immagine che tutti coloro che prima di lui hanno propinato la lotta al contante si sono visti cucire addosso dall’opinione pubblica, ossia di governanti assetati del sangue dei contribuenti. Ebbene, questa gentilezza risulta piuttosto sospetta, se è vero che dal prossimo 1 luglio saranno vietati i pagamenti in contante sopra i 1.999,99 euro e dall’1 gennaio verranno vietati quelli sopra i 999,99 euro. E cosa accade a chi trasgredisce? Potrà incorrere in sanzioni amministrative tra 3.000 e 50.000 euro. Alla faccia della gentilezza! E cos’altro sarebbe dovuto accadere altrimenti ai trasgressori? Li avremmo dovuti condurre in un campo di rieducazione nordcoreano?
L’idea di Conte, che coincide essenzialmente con quella di quasi tutta la sua maggioranza (Italia Viva, forse, esclusa), è la seguente: la modernità ci consente di liberarci del contante, per cui essa coincide con i pagamenti digitali. Grazie alla tecnologia, quindi, lo stato può controllare del tutto i pagamenti dei cittadini, minimizzando o azzerando l’evasione fiscale.
Lo “schiaffo” morale svizzero
“Promuovere e assicurare sia l’offerta di moneta in contanti e sia il pieno funzionamento dei pagamenti cashless non sono in contraddizione tra loro. I vari metodi di pagamento soddisfano le differenti necessità della nostra popolazione. Il nostro ultimo sondaggio sui metodi di pagamento, pubblicato nel maggio 2018, ha mostrato che l’uso da parte del pubblico e la propensione per il cash rimangono elevati, nonché che al popolo svizzero piaccia che gli sia consentito scegliere tra pagamenti cashless e quelli realizzati con banconote e monetine. La circolazione di banconote negli ultimi anni è cresciuta costantemente nel nostro paese. Il contante è usato e valutato per diverse ragioni, non solamente per la riluttanza verso l’adozione di nuove tecnologie. Esso può essere usato ovunque e non dipende dall’infrastruttura tecnologica. I pagamenti cashless probabilmente diverranno sempre più popolari, ma resto ciononostante convinto che il futuro del contante, quindi delle stesse banconote, sia radioso”.
Vi fidereste delle parole della banca centrale di un paese ricco, libero e dal benessere diffuso come la Svizzera o di quelle del premier di uno stato inefficiente, spendaccione e iper-indebitato come pochi al mondo, a caccia perenne di nemici interni ed esterni per giustificare il proprio fallimento? Sarà un caso che tutti i paesi con bassi tassi di evasione fiscale, tra cui proprio Svizzera, Germania e USA, siano apertamente ostili a sopprimere l’uso del contante, mentre queste idee dispotiche siano in auge in contesti inefficienti, dove le pubbliche amministrazioni si mostrano tipicamente incapaci di far quadrare i conti da un lato e di incassare il dovuto dai contribuenti dall’altro?
Infine, una domanda al premier in pochette: se dovessimo “gentilmente” transitare verso un’economia senza cash, per caso l’azzeramento quasi automatico dell’evasione fiscale porterebbe alla riduzione di quelle centinaia di migliaia di posti pubblici occupati sinora da quanti teoricamente dovrebbero stanare gli evasori o essi resterebbero al loro posto a timbrare il cartellino, un po’ come hanno sempre fatto, “rubando” – stavolta sì che sarebbe il verbo giusto – lo stipendio ai contribuenti italiani?
Svizzera, anonimato garantito solo da cash: niente lotta al contante