L’inflazione non si ferma e per le pensioni si mette male. L’Istat ha certificato che ad aprile la corsa dei prezzi non si è arrestata, anzi ha ripreso a salire a fronte di un potere di acquisto delle famiglie che continua ad erodersi. L’inflazione di conseguenza si è attestata al 8,2% su base annua con un dato in crescita rispetto al 7,6% del mese precedente.
In questo contesto diventa quindi difficile se non impossibile attuare una riforma pensioni favorevole per i lavoratori.
Inflazione alle stelle e riforma pensioni nella palude
Di fronte a questi preoccupanti dati Istat a cui non eravamo più abituati da molto tempo, diventa difficile sostenere la spesa previdenziale nei prossimi anni. Soprattutto per via del fatto che la spesa pensionistica è in tendenziale rialzo, al netto dei dati inflativi. Cosa che peserà oltre misura sul bilancio dello Stato se bisognerà intervenire sulla rivalutazione degli assegni.
Per il 2023 sono stati stanziati più di 22 miliardi di euro per la perequazione automatica di oltre 16 milioni di pensioni. Pur tenendo conto dei tagli che il governo ha apportato agli adeguamenti superiori a quattro volte l’importo del trattamento minimo. Ma nel 2024, di questo passo se l’inflazione non decresce, servirà un altro intervento di finanza pubblica pari a quello del 2023.
Soldi che non si sa bene dove potranno essere trovati, anche perché non è più possibile aumentare la tassazione generale. Serviranno quindi altri tagli alle prestazioni visto che la base contributiva non sarà sufficiente a coprire interamente la spesa. Col rischio – come avverte il presidente dell’Inps Pasquale Tridico – che il patrimonio netto dell’Inps vada in rosso per 92 miliardi entro i prossimi sei anni.
Riforma a rischio, cosa aspettarsi nel 2024
Sicché, se il taglio delle rivalutazioni delle pensioni (perequazione automatica) previsto anche per il 2024 non dovesse bastare, serviranno altri interventi strutturali. Uno di questi è sicuramente la non conferma di Quota 103 che, come per legge, terminerà il 31 dicembre di quest’anno. A ciò si potrebbe aggiungere la soppressione di Opzione Donna che potrebbe confluire in Ape Sociale, sia per caratteristiche che per questioni economiche.
Il ritorno pieno alle regole Fornero è quindi scontato. Dal 2024 le possibilità di pensionamento saranno quindi ridotte a due: pensione di vecchiaia a 67 anni o anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi (12 mesi in meno per le donne) a prescindere dall’età anagrafica. Resteranno in piedi le varie deroghe per i lavoratori in difficoltà e per i precoci. Mentre per Quota 41, come insiste la Lega, non ci sarebbero i presupposti per attuarla. Soprattutto dopo il flop di Quota 100 voluto proprio dal Carroccio col governo Conte I.
A pesare sui conti delle pensioni sono soprattutto le rendite concesse in passato con troppo anticipo e con un sistema di calcolo (retributivo) diventato troppo oneroso per lo Stato. Sia numericamente (i pensionati sono oggi 16,1 milioni), sia quantitativamente (il costo è salito a 313 miliardi di euro nel 2021), circa il 16% del Pil.
Inflazione picchia duro, Quota 41 verso il tramonto
In questo contesto, Quota 41 (in pensione con 41 anni di contributi) – come detto – perde appeal. La rivalutazione delle pensioni nel 2024 sarà pesante e c’è ancora da recuperare per quest’anno uno 0,8% di differenza fra quanto già riconosciuto in via provvisoria (+7,3% di aumento) e quanto spetta in via definitiva (+8,1%).
Bisognerà rivalutare circa 22 milioni di prestazioni previdenziali fra sette mesi e questo richiederà uno sforzo a bilancio straordinario. Unica soluzione, quindi, sarebbe quella di concedere in futuro la pensione anticipata con Quota 41 solo con il ricalcolo contributivo dell’assegno, come avviene per Opzione Donna.