Una tavola imbandita di ogni prelibatezza, dove però alcuni piatti sono avvelenati. È questa la metafora che spesso viene utilizzata per descrivere il web. Negli anni in cui il web ha promesso di rivoluzionare il mondo, sembrava che l’informazione stesse per vivere una seconda giovinezza. La rete appariva come uno spazio aperto, senza filtri, in cui chiunque poteva dire la sua, trovare contenuti alternativi, sfuggire ai meccanismi tradizionali di selezione e diffusione delle notizie. La televisione, una volta dominante, sembrava destinata a un ruolo marginale. Poi però le cose non sono andate esattamente così.
Il problema non è nato con internet in sé, ma con l’evoluzione del suo utilizzo.
Se da un lato la rete ha effettivamente reso l’informazione più accessibile, dall’altro ha contribuito a renderla più fragile, più confusa, più manipolabile. Il risultato è che oggi viviamo in un’epoca in cui essere informati davvero è diventato paradossalmente più difficile, nonostante abbiamo accesso a una quantità di fonti senza precedenti.
Web, il paradosso della sovrainformazione
Uno degli effetti più evidenti dell’era digitale è la cosiddetta “sovrainformazione”: milioni di notizie, contenuti, commenti, video e articoli si rincorrono ogni giorno, alimentando un rumore di fondo costante. In questa confusione, distinguere tra ciò che è vero, falso, opinabile o semplicemente irrilevante è diventato un compito complesso, anche per i lettori più attenti.
La facilità con cui si pubblica online ha portato all’esplosione di fonti non verificate, blog personali, siti poco affidabili e social network trasformati in megafoni di teorie, paure, slogan. Il concetto stesso di “fonte attendibile” ha perso significato per una parte crescente della popolazione, che finisce per affidarsi non a chi informa, ma a chi conferma le proprie idee.
Il web ha democratizzato l’informazione, ma ha anche eliminato ogni filtro, favorendo la diffusione di contenuti falsi o distorti.
Due recenti ricerche confermano la crisi dell’informazione. Secondo il 57° Rapporto Censis, il 77,4% degli italiani guarda ancora la TV per informarsi, ma solo il 21,5% la ritiene affidabile. Allo stesso tempo, cresce l’uso dei social: il 47,5% usa Facebook per le notizie, il 30,6% YouTube e il 16,5% TikTok, ma appena il 15,3% considera attendibili i contenuti letti online. Anche l’indagine del Parlamento Europeo registra un crollo di fiducia: solo il 35% degli italiani crede che i media forniscano informazioni vere.
Fake news, social e il crollo della fiducia
Il fenomeno delle fake news è solo la punta dell’iceberg. Il problema vero è strutturale: gli algoritmi dei social network privilegiano i contenuti che generano reazioni forti – rabbia, paura, indignazione – rispetto a quelli equilibrati o complessi. Questo meccanismo ha modificato non solo cosa leggiamo, ma anche come lo leggiamo. L’approfondimento cede il passo allo scroll compulsivo, la riflessione viene soppiantata dall’emozione immediata.
Le conseguenze sono evidenti: la fiducia nelle istituzioni, nei media e persino nella scienza si è erosa. Durante la pandemia, ad esempio, si è assistito a una battaglia parallela tra informazioni ufficiali e “verità alternative”, con il risultato che una parte della popolazione ha finito per diffidare persino dei dati più oggettivi.
In questo scenario, la televisione – da sempre ritenuta il principale mezzo d’informazione in Italia – ha perso autorevolezza, senza che il web riuscisse davvero a sostituirla con modelli più solidi.
Il cambiamento nelle abitudini informative è evidente anche nei numeri. Se un tempo la TV era la fonte privilegiata da cui gli italiani attingevano notizie, oggi perde terreno soprattutto tra i giovani, che preferiscono social come TikTok o YouTube. Ma questa “emigrazione informativa” non coincide con un miglioramento della qualità delle notizie fruite. Anzi, molti contenuti visualizzati sui social mancano completamente di verifiche giornalistiche, contesto o pluralismo.
Televisione in crisi, web in affanno
Chi produce informazione seria fatica a emergere in un sistema dominato dai trend virali e dalla pubblicità aggressiva. Le testate storiche devono competere con influencer e canali improvvisati, spesso senza le stesse regole o responsabilità. In questo contesto, anche l’educazione ai media – la cosiddetta “media literacy” – risulta assente o insufficiente, soprattutto tra le fasce più giovani e vulnerabili.
Il punto è che l’informazione non è solo un bene di consumo: è un pilastro della democrazia. Quando viene distorta, manipolata o banalizzata, a essere compromesso è il funzionamento stesso del dibattito pubblico. Ecco perché è urgente ripensare il modo in cui accediamo e selezioniamo le notizie. Serve investire in formazione, in alfabetizzazione digitale, in strumenti di verifica. Occorre premiare chi fa informazione con rigore, punire chi diffonde consapevolmente falsità. Le piattaforme digitali devono assumersi più responsabilità, e i lettori devono tornare ad avere un ruolo attivo, critico e consapevole. Internet ha fatto anche cose brutte, è vero. Ma non è troppo tardi per correggere la rotta.
I punti chiave.
- il web ha reso l’informazione più accessibile ma anche più manipolabile.
- la sovrainformazione e gli algoritmi dei social hanno favorito le fake news.
- occorre investire in media education e responsabilizzare piattaforme e lettori.