Il primo turno delle elezioni presidenziali in Ecuador ha esitato risultati per certi versi sorprendenti. La vittoria del candidato socialista Andrés Arauz era scontata e, in effetti, è arrivata con circa il 31% dei consensi. Ai seggi, ieri ha portato a votare la nonna di 106 anni, tra gli elettori più anziani del paese. Ma alle sue spalle non è ancora chiaro chi vi sia, cioè chi sarà il suo sfidante al ballottaggio. L’ecologista Yaku Perez se la gioca quasi alla pari con il conservatore Guillermo Lasso, entrambi appaiati intorno al 20%, ma con il primo in leggero vantaggio nello spoglio, pur dato indietro dagli exit poll.
Ecuador al bivio: le elezioni di oggi spingeranno o affosseranno i bond sovrani
L’esito non si starebbe mostrando favorevole ai mercati. Arauz è ostile alle politiche di austerità pretese dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), che lo scorso anno ha stanziato 6,5 miliardi per Quito, di cui 4,4 miliardi già sborsati. In cambio, chiede misure di risanamento fiscale per 5,5 punti di PIL, tra tagli alla spesa pubblica e aumenti delle imposte. Il candidato sostenuto dall’estero dall’ex presidente Rafael Correa, in esilio per una condanna per corruzione, vuole ridiscutere i termini dell’accordo con l’FMI. Il suo possibile rivale Perez è anch’egli contrario all’austerità e, peraltro, ha ingaggiato una battaglia contro lo sfruttamento delle miniere.
Boom dei bond insostenibile
Se davvero si dovesse profilare un ballottaggio tra Arauz e Perez, si tratterebbe dello scenario peggiore per gli investitori, anche perché Harvas, con il suo bottino di consensi, sposterà quasi certamente ancora più a sinistra gli equilibri, schierandosi con l’uno o l’altro candidato.
Come si spiega questo boom paradossale? Non è facile capirlo. Probabile che i mercati, che stavano scontando già una vittoria di Arauz sin dal dicembre scorso, stiano puntando sulla capacità del leader socialista di rivedere le condizioni dell’accordo con l’FMI per sostenere l’economia nel medio-lungo termine, evitando un impatto dannoso che deriverebbe per essa da un duro risanamento fiscale. O forse si sta convincendo che il pragmatismo prevarrà sull’ideologia e che i termini della ristrutturazione non saranno intaccati. Ma si tratta di un trend poco sostenibile, almeno alla luce dei risultati che complessivamente bocciano senza appello i partiti più schierati a favore delle politiche dell’FMI. Il mandato del nuovo presidente sembra chiaro: rinegoziare l’accordo con l’FMI. Ma termini più favorevoli verrebbero concessi dall’istituto dietro possibili nuove perdite a carico degli investitori privati. E per gli obbligazionisti sarebbe una pessima notizia.