Il crollo della lira egiziana di ieri (-38%) è una dura lezione sui cambi fissi

Maxi-svalutazione della lira egiziana ieri, dopo che il governo ha dato l'addio al cambio fisso con il dollaro. Ecco perché i "peg" sono spesso insostenibili.
8 anni fa
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Gli effetti deleteri di un cambio forte

Il paese sudamericano continua ad ostinarsi a mantenere un cambio fisso tra bolivar e dollaro, incurante degli effetti deleteri sulla propria economia. Ma un cambio eccessivo (quello ufficiale, ormai quasi in disuso a Caracas, è oltre 150 volte più elevato di quello vigente sul mercato nero) determina l’impossibilità per le imprese locali di reperire dollari sufficienti per importare beni e servizi dall’estero, perché per la legge della domanda e dell’offerta, quando un bene – in questo caso, la valuta locale – è troppo costoso, nessuno o in pochi lo comprano.

Ergo, minori esportazioni e importazioni troppo alte, non coperte da altrettanta disponibilità di valuta estera.

La carenza di beni e servizi è la prima grande avvisaglia, che un cambio troppo forte e slegato dalle forze del mercato, provoca. La seconda è il sorgere di un mercato nero del cambio, visto che il tasso ufficiale non viene più considerato credibile e conveniente per le imprese e i consumatori locali. Il tasso che qui vi si forma costituisce un riferimento per valutare le distanze che si creano tra mercato ufficiale e quello reale. Man mano che queste crescono, si ha il sintomo di una malattia sempre più grave, che se non fronteggiata in tempo, come ha fatto ieri la banca centrale egiziana, degenera velocemente. (Leggi anche: Occhio all’incognita dei cambi fissi)

Cambi fissi insostenibili, qualche esempio

La terza conseguenza di un cambio forte è l’esplosione dell’inflazione. In Egitto, era già al 14%, non altissima, ma nemmeno bassa. In Venezuela, è stimata intorno al 500% e dovrebbe avviarsi al 1.500% l’anno prossimo. Il boom dei prezzi è provocato dalla carenza dell’offerta e dal fatto che le imprese e i commercianti fissano i prezzi, non più considerando il tasso ufficiale, bensì quello “reale” vigente sul mercato nero.

Perché i governi di alcuni paesi, come l’Argentina dell’era Kirchner o il Venezuela “chavista” ignorano tali segnali e non liberalizzano il cambio, come ha fatto due anni fa la Russia in piena tempesta finanziaria? Le risposte possono essere diverse, ma riassumibili in due: temono che la conseguente svalutazione del cambio porti a un’impennata dei prezzi e a un aumento del malcontento popolare; hanno paura degli effetti di una maxi-svalutazione sulla sostenibilità del debito estero, che essendo contratto in valuta straniera “pesante”, diverrebbe di colpo più costoso.

(Leggi anche: Crisi Venezuela, Maduro inseguito dalla folla – video – )

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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