“Il governo si atterrà al libero mercato e al tasso di cambio libero. E la politica fiscale sosterrà quella monetaria nella lotta all’inflazione”. Sono le parole del ministro dell’Economia, Lufti Elvan, pronunciate qualche ora fa, nel bel mezzo del tracollo della lira turca sui mercati. La valuta emergente è arrivata a perdere nella tarda serata di ieri fino al 17%, collassando a un minimo di 8,38 contro il dollaro. Venerdì scorso, aveva chiuso a un tasso di cambio di 7,22. Mentre scriviamo, perde l’8,44% a oltre 7,82.
Venerdì sera, a mercati chiusi, il presidente Erdogan non ha trovato di meglio che emanare un ennesimo decreto di nomina del nuovo governatore della banca centrale. Naci Agbal è stato rimpiazzato dopo appena quattro mesi e mezzo di mandato da Sahap Kavgioglu, uno sconosciuto prof di diritto bancario e redattore di un quotidiano islamista, già deputato di Akp, il partito di governo. Non c’è stata alcuna spiegazione ufficiale dell’atto, ma è scontato che sia avvenuto in conseguenza del terzo rialzo dei tassi avvenuto sotto Agbal giovedì scorso, quando il costo del denaro è stato portato dal 17% al 19% per contrastare la corsa dell’inflazione e il ritorno all’indebolimento del cambio.
Erdogan ha seppellito qualsivoglia speranza tra gli investitori circa la conduzione di una politica monetaria appropriata. Quello appena insediatosi è il quarto governatore in poco più di un anno e mezzo. Il presidente conferma senza più alcuna ombra di dubbio di non tollerare alcuna politica dei tassi alti, quali che siano le condizioni macro. A febbraio, l’inflazione era salita al 15,6% e per questo l’ormai ex governatore si era visto costretto ad intervenire per frenare il boom dei prezzi al consumo.
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Finito l’ottimismo sui mercati
Erdogan crede, però, che siano i tassi alti a foraggiare l’inflazione, scoraggiando gli investimenti e, quindi, riducendo l’offerta futura di beni e servizi.
Nel corso del 2020, la banca centrale era dovuta intervenire a sostegno della lira turca con 100 miliardi di dollari delle riserve valutarie. Nei pochi mesi successivi alla nomina di Agbal, per contro i capitali nel paese erano tornati ad affluire, con 4,7 miliardi di dollari di acquisti netti di azioni e obbligazioni. E il tasso di cambio era arrivato a rafforzarsi del 20% tra novembre e febbraio, facendo della lira la valuta emergente regina del “carry trade”. Adesso, la fase dell’ottimismo sembra definitivamente alle spalle. Il crollo di queste ore è il peggiore in un’unica seduta dall’agosto del 2018, anno in cui si registrò la grave crisi finanziaria turca, nel corso della quale la lira arrivò a collassare del 45% contro il dollaro.
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Lo spettro di una nuova crisi finanziaria
Probabile che adesso tenti di riportarsi al minimo storico toccato nel novembre scorso di 8,52 contro il dollaro. E quasi certamente il “sell-off” contagerà il mercato obbligazionario sovrano, quando già i rendimenti a 10 anni si attestano al 14,10% e quelli a 2 anni al 16,36%. La sfiducia dei mercati finanziari verso Ankara sarà difficilmente contenibile nelle prossime settimane. Con le dimissioni di Berat Albayrak, genero del presidente, da ministro dell’Economia a novembre, si era ipotizzato un cambio di linea da parte dell’esecutivo per ragioni di necessità. Invece, neppure dinnanzi all’evidenza la politica turca cambia passo.
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