E’ un crollo senza fine quello che sta colpendo la lira turca, che oggi è arrivata a perdere il 4%, quando ha toccato il nuovo minimo storico contro il dollaro a un tasso di cambio di 4,9290. Al momento, scivola del 3,73%, scambiando a 4,8445, portando a -20% il bilancio di quest’anno. In pratica, i minimi record vengono aggiornati ormai di seduta in seduta e senza che s’intraveda il raggiungimento del punto più basso (“floor”). Il problema resta sempre il presidente Recep Tayyip Erdogan, che dovrebbe vincere e con ampio margine le elezioni presidenziali e politiche del 24 giugno prossimo.
Lira turca crolla ai nuovi minimi storici, preoccupa la banca centrale inerte
Il pil turco è salito del 7,4% nel 2017, sorprendendo il Fondo Monetario Internazionale, che nei giorni scorsi ha notato come siano stati superati i ritmi di crescita persino di economie emergenti rampanti come Cina e India. Tuttavia, questa accelerazione, alimentata da investimenti pubblici in deficit, specie nel comparto militare, ha surriscaldato l’economia anatolica, facendo schizzare l’inflazione al 10,85% annuale in aprile, più del doppio del target fissato dalla banca centrale.
Per la Turchia una deriva argentina
La Turchia registra un pesante deficit commerciale e delle partite correnti, segno della sua scarsa competitività sui mercati internazionali e della insufficiente attrazione di capitali esteri per finanziare le importazioni. Ecco le preoccupazioni sulla tenuta delle riserve valutarie, in considerazione anche dell’alto livello di esposizioni debitorie con il resto del mondo e in valuta straniera, pari al 40% netto rispetto al pil. A questo punto, l’unica boccata di ossigeno per la lira turca arriverebbe da un’eventuale riunione di emergenza della banca centrale da qui al 7 giugno, data prevista per il board ordinario.
Lira turca in caduta libera ed Erdogan choc: sui tassi decido io
Per rasserenare gli animi degli investitori, servirebbe almeno un rialzo dei tassi di 200 punti base. Nel gennaio 2014, l’allora governatore Erdem Basci più che raddoppiò i tassi per reagire al tonfo della lira, portandoli dal 4,50% al 10%. Impensabile, però, che l’istituto possa permettersi di compiere un passo così deciso, visto che le tensioni con la politica di Ankara sono esplose proprio con la maxi-stretta di 4 anni fa, aspramente criticata da Erdogan, che è arrivato a minacciare il commissariamento di Basci nel caso in cui non avesse allentato la politica monetaria. Proprio per questo, i mercati temono una deriva argentina della crisi della lira. Nella seconda economia sudamericana, il peso è crollato ai nuovi minimi storici nelle settimane scorse, mentre l’inflazione, pur decelerando dal 40% dell’era Kirchner, viaggia ancora al 25% e resiste a questi livelli, tra l’altro, sulla sfiducia tra gli investitori per l’efficacia delle azioni della banca centrale. Ankara come Buenos Aires, dunque. E i rendimenti dei bond turchi ballano effettivamente il tango, se è vero che i decennali stanno toccando nuovi massimi storici al 14,65% (ma avendo toccato l’apice intraday del 14,85%), mentre i titoli a due anni sono esplosi al 16,63%.