La svolta c’è stata, ma meno intensa delle previsioni. La Banca Centrale Turca ha alzato i tassi d’interesse dall’8,50% al 15% al termine della prima riunione del board avvenuta sotto il nuovo governatore Hafize Gaye Erkan. E’ anche la prima donna a guidare l’istituto nella storia del paese. La stretta monetaria era attesa. Il comunicato finale ha evidenziato che ci potranno essere nuovi aumenti dei tassi nei prossimi mesi per accelerare il processo di disinflazione in corso. Intanto, saranno smantellate molte delle misure di regolamentazione adottate negli ultimi anni per cercare di difendere il cambio.
La Turchia ha ancora un’inflazione appena sotto il 40% (39,59% a maggio). Era esplosa sopra l’85% nell’ottobre scorso. La principale responsabilità di questo boom dei prezzi al consumo ce l’ha proprio la banca centrale, che su pressione del presidente Recep Tayyip Erdogan ha tagliato i tassi d’interesse con l’inflazione che continuava a salire e la lira turca che si deprezzava.
Gli analisti si aspettavano alla vigilia del board un aumento dei tassi tra il 20% e il 40%. La previsione più ardita era di Goldman Sachs. A conti fatti, Erkan ha deluso le aspettative del mercato. Questo spiegherebbe il crollo della lira turca. Tuttavia, le cose potrebbero essere andate diversamente. Anzitutto, c’è chi teme che la stretta contenuta possa riflettere le pressioni di Erdogan contro un vigoroso aumento dei tassi. D’altra parte, potrebbe avere avuto più senso procedere con maggiore cautela. In effetti, alzare i tassi a livelli subito altissimi crea il rischio di doverli ri-abbassare poco dopo, cioè una volta che l’inflazione sarà scesa sotto il loro livello. A quel punto, le resistenze politiche al mantenimento della stretta lieviterebbero.
Lira turca giù e spettro recessione
Invece, l’approccio di Erkan può spingere la Turchia a tenere i tassi alti più a lungo. Ciò impedirebbe a Erdogan di smantellare le misure di politica monetaria con largo anticipo come avvenne nel 2019. E non è detto che il tonfo della lira turca dopo l’annuncio sui tassi sia stato una conseguenza. Probabile che Erkan abbia atteso fino al varo della stretta per allentare i controlli sul cambio. Più alti i tassi, minore la svalutazione attesa.
A proposito, fin dove si potrà spingere il cambio con il dollaro? All’inizio del mese, Goldman Sachs profetizzava un tasso di 28 entro un anno. Tuttavia, la banca d’affari americana lo stimava a 23 dopo tre mesi e a 25 dopo sei mesi. Invece, già dopo pochi giorni la lira turca scambiava a 23 e dopo neppure tre settimane a più di 25. E’ evidente che più in alto saranno portati i tassi e minore la svalutazione necessaria per riportare il mercato forex in equilibrio. A maggio, le riserve valutarie nette sono scese al record minimo di -5,7 miliardi di dollari. Solo un cambio molto più debole potrà riportarle in territorio positivo, cosa che accadrà allentando definitivamente le restrizioni e attirando i capitali stranieri a colpi di tassi alti.
Nell’ultimo decennio, la lira turca ha perso il 90% contro il dollaro. L’accelerazione in negativo è arrivata nel 2021, anno in cui perse il 44%. L’anno scorso, un altro -30%. E in questa prima metà scarsa del 2023, siamo già a -26%. L’indebolimento del cambio renderà più complicato il calo dell’inflazione, innalzando i costi dei beni importati. Ci sarà una probabile recessione dell’economia nella seconda parte dell’anno, necessaria per riportare la stabilità monetaria nel paese. Ma è fumo negli occhi per Erdogan, che punta a festeggiare i 100 anni della Repubblica di Ataturk all’insegna del boom economico che ha caratterizzato il suo ventennio al potere.