Lira turca ai nuovi minimi storici nel corso della settimana passata, indebolitasi contro il dollaro fino a un minimo di 9,2373. Il saldo negativo di quest’anno è molto pesante: -19%. La nuova ondata di vendite si è scatenata nell’ultimo mese e mezzo, qualche settimana prima che la banca centrale annunciasse a sorpresa il taglio dei tassi d’interesse dal 19% al 18%. L’inflazione a settembre è salita al 19,6%, per cui i tassi reali sono scesi in territorio negativo. Il governatore Sahap Kavcioglu aveva promesso che avrebbe mantenuto i tassi sopra l’inflazione.
In carica dal marzo scorso, egli non gode di fatto di alcuna autonomia dal potere politico. Il taglio dei tassi è stato chiesto e ottenuto dal presidente Erdogan, veemente sostenitore dell’allentamento monetario. L’erraticità nella lotta all’inflazione ha ormai fatto perdere di credibilità all’istituto e dissuaso gli investitori stranieri dal portare i capitali nel paese. Anzi, sono gli stessi turchi a cercare di mettere in salvo i loro risparmi, convertendoli in valute straniere forti come dollaro ed euro. Da inizio 2020, hanno accresciuto del 20% i loro depositi in tali valute, portandoli a quasi 234 miliardi di dollari. Nella sola settimana all’8 ottobre, hanno acquistato altri 1,7 miliardi.
La caduta della lira turca è inarrestabile anche per il deterioramento della governance. Erdogan ha rimosso venerdì scorso tre alti funzionari della banca centrale, ovvero i due vice-governatori e un membro del Comitato di politica monetaria. La loro colpa? Essere stati contrari o poco propensi al taglio dei tassi. Dal 2019, si sono avvicendati quattro governatori. E le autorità hanno introdotto una nuova normativa, in base alla quale i cambiavalute dovranno conservare le informazioni dei clienti. Finora, essi erano tenuti a farlo solo per operazioni sopra 3.000 dollari. Formalmente, un modo per adeguarsi alle normative anti-riciclaggio internazionali. Nei fatti, molti temono che si tratti di un modo per dissuadere gli stessi turchi dal continuare a convertire i loro risparmi in valute straniere, togliendo loro la garanzia dell’anonimato.
Crisi lira turca lunga e grave
La situazione è molto critica, per quanto il PIL quest’anno dovrebbe impennarsi del 9%. Pensate che dopo questo tracollo della lira turca, il petrolio è rincarato quest’anno per i consumatori domestici di oltre l’80%. Ma la Borsa di Istanbul non sta reagendo affatto positivamente alla crescita dell’economia. Il suo indice perde quest’anno intorno al 5%. Per gli investitori stranieri, la perdita effettiva sarebbe prossima al 25%. Non è un caso che essi abbiano ridotto a meno del 5% la quota di debito sovrano turco in loro possesso dal 30% del 2013. E il peggio rischia di arrivare nei prossimi mesi, quando verosimilmente Erdogan otterrà nuovi tagli dei tassi indifferentemente dall’andamento dell’inflazione e con mezzo mondo a ridurre il grado di accomodamento monetario.
In effetti, il presidente si mostra insofferente per l’eccessiva gradualità con cui sta avvenendo l’allentamento monetario. Vorrebbe riportare i tassi sotto il 10%. Peccato che la banca centrale abbia un target d’inflazione del 5%, circa quattro volte più basso dell’ultimo dato reale. L’inflazione al 20% è già nei fatti e sembra questione di tempo prima di toccare la nuova soglia psicologica di 10:1 per il cambio contro il dollaro. Era di 1,50/1,60 nel 2010-2011. In più, non aiuta certo la geopolitica. Erdogan ha mostrato l’intenzione di combattere nuovamente le formazioni curde in Siria e di acquistare nuovi missili S-400 dalla Russia. I rapporti con USA ed Europa sono tesissimi e Ankara ha appena accolto ufficialmente i vertici talebani afghani, una mossa che segna nuove divisioni in seno alla NATO. Tutti fattori che ci portano a credere che la crisi della lira sia solamente iniziata.