Giovedì scorso, per la prima volta nella sua storia il BTp a 10 anni ha chiuso la seduta a un rendimento inferiore allo 0,50%, attestatosi allo 0,48%. Lo spread con il Bund di pari durata si è ristretto ormai in prossimità dei 90 punti base, ai minimi da oltre 5 anni. Secondo gli analisti, potrebbe restringersi ulteriormente in area 60-70 punti base. Non possiamo escludere, tuttavia, che nel caso in cui il governo Draghi, sul quale si addensano già elevate aspettative, sorprendesse positivamente i mercati, il differenziale di rendimento con i titoli tedeschi scenda a livelli ancora minori.
Per i contribuenti, non può che essere una buona notizia. Più bassi i rendimenti, minore la spesa per interessi sul debito pubblico. I conti dello stato migliorano e si creano margini fiscali a disposizione per l’abbattimento della pressione fiscale e/o per l’aumento della spesa per investimenti, insomma si sosterrebbe la crescita economica. Ma il calo dei rendimenti può essere sfruttato dal Tesoro anche per allungare le scadenze, così da ridurre l’esposizione del sistema Italia alla volatilità dei mercati nel medio-lungo termine.
Gli analisti di Saxo Bank sono convinti che l’arrivo dell’ex governatore BCE a Palazzo Chigi apra una finestra di opportunità per l’Italia sul piano delle emissioni ultra-lunghe. Essi sostengono che Mario Draghi dovrebbe cogliere questa occasione estremamente positiva per il nostro mercato sovrano, collocandovi il primo BTp a 100 anni. Stando ai loro calcoli, offrirebbe un rendimento del 2,5%, cioè la media del BTp a 3 anni negli ultimi 20 anni.
Nell’ottobre del 2016, quando l’Italia registrava un’altra fase molto favorevole sui mercati, il Tesoro emise il primo bond a 50 anni. Parliamo del BTp 1 marzo 2067 e cedola 2,8% (ISIN: IT0005217390). Attualmente, quota sopra 135 e offre un rendimento lordo in area 1,70%. In questi ultimi anni, approfittando del collasso dei rendimenti sovrani, paesi come l’Austria hanno emesso bond a 100 anni.
BTp a 100 anni, quale tasso d’interesse offrirebbe e converrebbe comprarlo?
La convenienza di un BTp a 100 anni
All’Italia converrebbe l’emissione di un BTp a 100 anni? Sul piano strettamente contabile, diremmo di no. Oggi, abbiamo l’opportunità di rifinanziarci sui mercati a rendimenti negativi fino ai 5 anni e a meno dello 0,50% sui 10 anni. Se ci indebitassimo a 50 o 100 anni, dovremmo corrispondere agli obbligazionisti cedole più elevate e il calo della spesa per interessi frenerebbe. Tuttavia, allungare le scadenze medie significa anche vivere con minore apprensione i mutamenti delle politiche monetarie e le relative reazioni degli investitori. Una cosa sarebbe che ogni anno dovessimo rinnovare debiti per il 15-20% del PIL, un’altra che dovessimo farlo per appena il 5-10%.
Un BTp a 100 anni al 2,5% attirerebbe flussi di capitali immensi dall’estero. Gli investitori stranieri sono a caccia di rendimento e ormai è diventato quasi impossibile trovare bond che offrano l’1% e che siano anche di medio-alta qualità. Il debito pubblico italiano non gode di alti rating, ma grazie al sostegno della BCE è percepito ormai relativamente sicuro, altrimenti non renderebbe così poco. Peraltro, anche le formazioni euro-scettiche in Parlamento si sono riposizionate a favore di un cauto europeismo, facendo venire quasi del tutto meno il già bassissimo rischio Italexit.
Un titolo così redditizio sarebbe teoricamente capace di tenere botta al rialzo dei tassi negli anni seguenti e di più che coprire l’attesa perdita del potere di acquisto nel medio-lungo periodo. Gli stessi investitori domestici, individuali e istituzionali, lo riterrebbero interessante per costruirsi una rendita certa e più che sufficiente di questi tempi, a fronte di un rischio di credito sostanzialmente nullo. La percezione sui mercati sarebbe positiva sul consolidamento dello stock di debito e verosimilmente si abbasserebbero i rendimenti sulle scadenze più corte, di fatto attenuando o finanche compensando del tutto l’aggravio di spesa per interessi che il Tesoro sosterrebbe con una simile emissione.