Alla fine di quest’anno, il debito pubblico italiano sarà asceso a circa 2.600 miliardi di euro e il prodotto interno lordo risulterà imploso a 1.600 miliardi, forse anche meno. Il rapporto debito/pil dovrebbe attestarsi sopra il 160%. Nel 2021, il rimbalzo dell’economia mondiale favorirebbe l’uscita dalla crisi dell’Italia, sebbene il percorso appaia lungo e tortuoso. Prima di tornare ai livelli di pil del 2019, dovremmo attendere verosimilmente non meno di 3 anni da oggi. Nel frattempo, il debito pubblico continuerà a crescere, pur auspicabilmente a ritmi decisamente inferiori rispetto a quelli in corso.
L’assalto ai risparmi per salvare gli stati, così il debito pubblico non sarà sostenibile
Con i 209 miliardi di euro del “Recovery Fund”, tra prestiti e sussidi, l’Italia avrebbe modo di investire ingenti risorse negli investimenti pubblici a sostegno della crescita nel medio-lungo termine. Sarà forse l’ultima occasione per dimostrare al mondo, oltre che a noi stessi, che il nostro debito pubblico rimanga sostenibile, indipendentemente dalle manovre monetarie ultra-espansive della BCE. Per farlo, dobbiamo mettere le cose in chiaro: ci servirà accentuare i tassi di crescita, al contempo risanando i conti pubblici e tendendo al pareggio di bilancio.
Chi si sta illudendo che il Patto di stabilità non torni più o che, comunque, sarà rimpiazzato da obiettivi fiscali molto più flessibili, si sbaglia di grosso. Nessuno a Bruxelles concederà a Roma di spandere e spendere senza dare spiegazioni a nessuno, perché nessuno ha intenzione di pagarne il conto.
Le riforme pro-crescita (Pubblica Amministrazione, giustizia, liberalizzazioni, fisco, mercato del lavoro, sussidi, etc.) andranno accompagnate a una maggiore disciplina fiscale e la scommessa sulla quale dovremo puntare sarà di continuare ad abbattere gradualmente e stabilmente il tasso implicito (rapporto tra spesa per interessi e stock del debito) sotto i livelli di crescita del pil nominale, avvalendoci allo scopo sempre del sostegno della BCE.
Perché la BCE può comprarsi i debiti degli stati e Bankitalia smise di farlo
Solo quando saremo in grado di ribaltare queste percentuali potremmo segnalare ai mercati di possedere un debito sostenibile. E la loro fiducia inciderà proprio sulla spesa per interessi, riflettendo le aspettative sulla nostra economia. In questa opera siamo agevolati dall’ombrello di Francoforte, se si pensa che al momento il costo medio del debito pubblico italiano si aggiri intorno allo 0,60%, ancora più basso dello 0,80% medio di luglio. Significa che le corpose emissioni di debito stanno avvenendo in condizioni di mercato più favorevoli di quelle medie esistenti sinora e alle quali ci siamo indebitati. Se restassero tali per molti anni, sostanzialmente con l’avanzo primario esitato nel 2019 avremmo modo non solo di centrare l’obiettivo del pareggio, ma persino di chiudere i bilanci in attivo, di fatto abbattendo il debito sia in percentuale che in valore assoluto, un po’ come ha fatto la Germania negli ultimi anni.
Ma noi siamo italiani e sappiamo che il miglioramento delle condizioni di mercato per emettere nuovo debito crea di per sé i presupposti per accrescere la voglia stessa di indebitamento da parte di qualsivoglia governo in carica. E proprio da questa tentazione dobbiamo mostrarci in grado una volta per tutte di rifuggire, altrimenti la ristrutturazione del debito sarebbe solo questione di tempo. A Bruxelles ci daranno sì una mano, ma fino a quando il costo politico non inizierà a superare i benefici. E nessun altro governo vuole rispondere ai propri elettori dell’accusa di avere inviato un assegno in bianco a Roma per assistere un paese di spendaccioni incalliti.