L’Italia ha chiuso il 2021 con un debito pubblico di 2.678 miliardi di euro. E se vi dicessimo che, in realtà, sarebbe all’incirca di 1.580 miliardi? In pratica, sotto il 90% del PIL e non sopra il 150% come leggiamo sui giornali. Siamo impazziti? Niente affatto. Il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, tra lo sconforto e il disperato ha dichiarato in audizione in Parlamento che nel magazzino del Fisco italiano vi sono ormai 1.100 miliardi di euro di crediti non riscossi.
I numeri che Ruffini fornisce sono agghiaccianti, seppure non nuovissimi. Ogni anno entrano in magazzino 70 miliardi di euro e ne escono solamente 10. Le cartelle da riscuotere sono oltre 130 milioni relative a 240 milioni di crediti e 16 milioni di cittadini iscritti a ruolo. Il punto, afferma, è che il magazzino fiscale è pieno zeppo di cartelle risalenti fino a 22 anni fa, cosa che non succede in un nessun altro paese occidentale, tiene a precisare.
I funzionari addetti allo smaltimento sono 8.000, un numero tarato per gestire un magazzino con cartelle fino a 3 anni. Cifre di un fallimento plateale dello stato. E da febbraio 2009 a dicembre 2021, solo 1.153 Comuni hanno inviato 120.000 segnalazioni, a seguito delle quale vi sono stati poco più di 20.000 accertamenti. Risultato: 386,34 milioni di imposte evase, di cui 139 milioni riscossi. In sostanza, il nulla.
Le sanatorie non bastano
Secondo Ruffini, bisognerebbe informatizzare del tutto il processo di riscossione, pur riconoscendo sempre al contribuente il diritto di confrontarsi con l’Agenzia. Ma lamenta che sarebbe impossibile pensare di inviare milioni di cartelle esattoriali ai cittadini, in quanto se tutti facessero ricorso a collassare sarebbe il sistema giudiziario italiano. E quindi? Il non detto di Ruffini sarebbe di limitare le possibilità di ricorrere contro gli accertamenti.
Lo stesso conclude che le sanatorie fiscali non si sono rivelate sufficienti a garantire il benché minimo smaltimento del magazzino. Gli ingressi superano di gran lunga le uscite. Misure come il saldo e stralcio non sono bastate per nulla. E come mai lo stato non mette una pietra tombale sopra a cartelle che nella pratica non saranno mai riscosse? Ruffini ritiene che servano, in qualche caso, ad abbellire i conti delle amministrazioni pubbliche. Rimangono iscritti a bilancio crediti nei fatti inesistenti, ovvero inesigibili. Pensate ai Comuni.
In realtà, sul tema si fa troppa ideologia nel Bel Paese. Quando siamo in presenza di 1.100 miliardi non riscossi – qualcosa come oltre il 60% del PIL – bisognerebbe mostrarsi pragmatici e trovare soluzioni definitive; in primis, per alleggerire il magazzino di incombenze inutili e, secondariamente, per ridurre sul nascere i nuovi ingressi. Uno stato che fa la faccia dura con il contribuente e che, messo alla prova, non riesce a riscuotere il dovuto, è fallito da tutti i punti di vista. Non è credibile agli occhi del cittadino, il quale non solo è incentivato ad evadere il Fisco, ma anche a sfruttare le mille scappatoie perfettamente legali per prendere tempo e non pagare neppure quando riceve a casa la cartella.
Cittadino incentivato a fare il furbo
Non è un fatto di furbizia italica, quanto di meccanismi che non funzionano. Il legislatore dovrebbe distinguere tra le procedure titolate a garantire tutti i sacrosanti diritti del contribuente in sede di opposizione alla riscossione e le tecniche dilatorie per prendersi in giro e non pagare mai. Non è accettabile imporre una pressione fiscale che sui contribuenti fedeli arriva al 54%, mentre si hanno all’attivo 1.100 miliardi inesigibili per tantissime ragioni, tra cui la scomparsa del contribuente, il fallimento della sua impresa o la sua non rintracciabilità.
Il dato più allarmante che Ruffini fornisce non è tanto quello sui 1.100 miliardi, su cui non possiamo che mettere una croce; a indignarci dovrebbe essere il fatto che su 70 miliardi all’anno di imposte evase accertate, solo 10 siano riscosse.