L’aumento di capitale di Monte Paschi di Siena (MPS) è ancora in corso. Si concluderà lunedì 31 ottobre. Al mercato sono richiesti fino a 900 milioni di euro, fatto salvo che il Tesoro parteciperà all’operazione con un esborso pro-quota di 1,6 miliardi. In tutto, 2,5 miliardi per rafforzare il patrimonio della banca. In Europa, la vicenda sta già attirando le attenzioni dell’Antitrust, vale a dire della Commissione. E prima di sospirare al pensiero che si tratti dell’ennesimo intervento a gamba tesa di Bruxelles negli affari italiani motivato da pregiudizi, leggete bene la storia.
La Commissione europea ha richiesto un aumento di capitale per MPS di 2,5 miliardi per irrobustirne il patrimonio. Di soggetti privati interessati a mettere (ehm, buttare) soldi in questo pozzo senza fondo non se ne sono trovati per mesi. Dopo varie pressioni, è stato messo in piedi un consorzio a cui partecipano Axa e Anima per complessivi 410 milioni. Resta da coprire un fabbisogno di 500 milioni.
Commissioni bancarie fuori mercato
A questo punto, l’AD Luigi Lovaglio ha ingaggiato un consorzio bancario di garanzia composto da Algebris, Bank of America, Citigroup, Credit Suisse e Mediobanca. Obiettivo: trovare il mezzo miliardo che manca per arrivare ai 2,5 miliardi di aumento di capitale MPS. In assenza di investitori, questi istituti metteranno mano in prima persona al portafoglio. In altre parole, la ricapitalizzazione in corso non potrà fallire in nessun caso. Certo, se il 31 sera scoprissimo che sia dovuto intervenire, in tutto o un parte, il consorzio bancario per finalizzare l’operazione, il flop sarebbe evidente.
Ora, per occuparsi dell’aumento di capitale MPS ha dovuto promettere alle suddette banche commissioni per la cifra di 125 milioni di euro. Considerato che dovranno trovare non più di 500 milioni, il tasso d’interesse preteso è del 25%. Fuori mercato secondo tutti gli analisti. E l’Europa fiuta puzza di bruciato.
Aumento capitale MPS pagato dai contribuenti
Peccato che l’ammontare delle commissioni bancarie applicate all’aumento di capitale corrispondano a gran parte del valore di capitalizzazione in borsa dell’istituto prima dell’avvio dell’operazione. In altri termini, MPS sta pagando al consorzio quasi quanto essa valesse prima dell’aumento. Va bene che è complicato cercare investitori per una banca in dissesto, va bene anche che il costo necessariamente include il rischio di dover sborsare denaro in assenza di interesse da parte del mercato. Ma qua la percentuale richiesta e accordata è stratosferica.
Sarebbe una normale operazione di mercato, pur costosissima, se non fosse che MPS sia in mano allo stato dal 2017. E che da allora abbiamo speso in qualità di contribuenti 7 miliardi di euro per cercare di salvare una banca che tutto sembra, fuorché salvabile. Gli italiani hanno il diritto di pretendere trasparenza, visto che sono i soggetti paganti di queste operazioni dissennate. E il nuovo governo, nella persona del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha il dovere di fornire risposte, sebbene abbia ereditato dal governo Draghi questa situazione a dir poco imbarazzante.