E’ in corso un “repricing” dei titoli di stato nell’Eurozona, sebbene le principali vittime di queste ultime sedute siano i BTp. Lo spread a 10 anni con i titoli tedeschi è salito sopra 130 punti base, con punte anche superiori ai 135. Questione di tempo e con ogni probabilità il differenziale si porterà nei pressi dei 150 punti. Del resto, prima della pandemia si aggirava proprio attorno a questa soglia, al netto di impennate fin sopra i 300 punti nelle fasi di tensione tra Roma e Bruxelles sul deficit.
Il rendimento decennale italiano è salito anch’esso dallo 0,90% a circa l’1,20%, ma con capatine verso quota 1,30%. Tuttavia, la scorsa settimana l’ISTAT ha diramato il dato preliminare sull’inflazione italiana a ottobre, salita ulteriormente al 2,9% dal 2,5% di settembre. La media dell’Eurozona è stata del 4,1%. In termini reali, quindi, alla luce di questi nuovi numeri il BTp a 10 anni non offre un rendimento più alto. E, soprattutto, continua ad offrire un rendimento negativo: -1,70%.
Lo spread lega le mani a Draghi
Il mercato vende per questa ragione: non riesce più a tollerare rendimenti nominali così bassi, a fronte di un’inflazione sempre più alta. D’altra parte, sconta il ritiro imminente degli stimoli monetari da parte della BCE, pur con tutte le cautele e la “massima flessibilità” assicurata da Christine Lagarde. A queste condizioni, difficile immaginare sia che il PEPP sia prorogato dopo marzo, sia che il “quantitative easing” sia potenziato significativamente dai 20 miliardi di euro mensili in acquisti di bond.
Detto ciò, il rendimento decennale tedesco continua a viaggiare in area -0,10%. E questo spiega l’innalzamento dello spread. Non c’è alcuno contestuale deprezzamento del Bund, il quale resta oggetto di acquisti per via della sua natura di “safe asset”, un porto in cui rifugiarsi nei momenti di tensione. L’Italia paga per via dell’enorme debito pubblico accumulato nei decenni e salito sopra il 150% del PIL con la pandemia.