“Il mondo è dalla vostra parte”. Sono state le parole più significative espresse dal premier Mario Draghi a Irpin, Ucraina, durante il vertice avuto con il presidente Volodymyr Zelensky, assieme al presidente francese Emmanuel Macron e al cancelliere tedesco Olaf Scholz. Una visita che arriva in una fase delicatissima della guerra, con le truppe russe che stanno compiendo vistosi progressi nel Donbass, riconosciuti per la prima volta dall’invasione del 24 febbraio anche in Occidente. Da parte sua, la stessa Kiev ammette di avere arretrato nella regione separatista e lamenta l’invio tardivo e carente di armi e munizioni.
La visita a tre da Zelensky
Draghi, Macron e Scholz hanno incontrato Zelensky formalmente per due ragioni: garantirgli l’appoggio concreto nelle prossime settimane, che il francese ha definito “difficili”; comunicargli il placet all’avvio dell’iter per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea. Al di là della propaganda, però, il cammino che porterà Kiev a parte parte delle istituzioni comunitarie sarà lungo, durerà verosimilmente molti anni. Scholz aveva parlato di “venti anni” qualche settimana fa. Ad ogni modo, resta il segnale positivo, un atto di incoraggiamento agli ucraini martoriati da tre mesi e mezzo di guerra.
In realtà, la visita a tre da Zelensky è stata di cortesia fino a un certo punto. I leader europei si sono riposizionati nelle ultime settimane sul piano comunicativo, e non solo. Il sostegno all’Ucraina resta indubbio, ma adesso chiedono che il suo presidente avvii trattative concrete con la Russia di Vladimir Putin. “Ad un certo punto” dovrà accadere, ha affermato Macron. Va detto che in tutti questi mesi Zelensky non ha mai respinto l’idea di un negoziato, anzi vi ha partecipato per interposta persona a più riprese.
L’inflazione fiacca Europa e USA
Ed era questa anche l’idea dell’Europa all’inizio della guerra. Tuttavia, con l’inflazione che morde ormai famiglie e imprese, l’aria è cambiata. Più dura la guerra, più i rincari delle materie prime, a partire da petrolio e gas, rischiano di mettere in ginocchio le economie nazionali. In settimana, Putin ha tagliato le forniture di gas a Olanda, Germania e Italia. E’ il segnale che inizi a passare dalle minacce ai fatti. E non è un caso che lo stia facendo mentre compie progressi nel Donbass. Si è accorto che l’Occidente scricchiola, non è più granitico come uno o due mesi fa. E non solo l’Europa. E’ vero che l’America di Joe Biden ha approvato un pacchetto di aiuti da 40 miliardi di dollari, ma l’invio di armi è lento.
L’amministrazione di Washington sembra anch’essa avere cambiato tono. Non si discute la fermezza contro la Russia, ma pur non ufficialmente s’inizia a fissare il prezzo da non superare per difendere l’Ucraina. E quello del carburante per un gallone negli USA è salito mediamente sopra 5 dollari, con punte di 6,50 dollari in stati come la California. Si tratta di un massimo storico, nonché di un rialzo di oltre il 60% su base annua. Pensate che prima non aveva mai toccato i 4 dollari. E le elezioni di medio termine si avvicinano, con i democratici di Biden dati in forte svantaggio sui rivali repubblicani.
La difficile exit strategy dell’Occidente
Un guasto a un terminale del gas in Texas ha momentaneamente interrotto le forniture americane promesse all’Europa dal presidente Biden. La sensazione è che da Oltreoceano non riceveremo una grossa mano per rimpiazzare le minori importazioni russe.
Nel tentativo di arrestare la corsa dell’inflazione, un po’ tutte le banche centrali del pianeta, ad eccezione di BCE e Banca del Giappone, hanno già alzato i tassi d’interesse. La mossa è necessaria, ma sta aumentando il rischio di recessione dopo un lunghissimo decennio di stamperie di denaro. Il momento è delicato e le incertezze alimentate dalla guerra non aiutano. Putin trae forza da questa situazione di fatto. Le sanzioni contro la Russia ne hanno indebolito l’economia, ma non al punto auspicato dall’Occidente. E così, Draghi, Macron e Scholz si sono precipitati da Zelensky per chiedergli di trattare con il Cremlino, ma indorandogli la pillola con la promessa dell’ingresso nella UE. Poca roba, specie se il presidente turco Erdogan spiegasse al collega ucraino quanto possano valere simili promesse da Bruxelles.