Il sultanato dell’Oman ha iniziato ad emettere ieri obbligazioni di stato sui mercati internazionali per la terza volta dallo scorso mese di ottobre. In particolare, punta a raccogliere tra 2 e 3 miliardi di dollari con una scadenza a 10 anni, un’altra a 30 anni e la riapertura del bond 2025 e cedola 4,875% (ISIN: XS1944412664). Stando alla guidance, il nuovo decennale offrirebbe il 6,625%, mentre il nuovo trentennale tra il 7,625% e il 7,75%. Il titolo a 4 anni dovrebbe essere stato venduto, invece, alla pari, cioè a premio di circa 40 punti base rispetto ai rendimenti vigenti sul mercato secondario.
L’operazione rientra tra le misure che il sultanato intende perseguire per fronteggiare l’esplosione del suo debito pubblico, salito sopra l’80% del PIL a fine 2020 e atteso quasi al 100% entro il 2025. Alla fine di quest’anno, è atteso in salita a 21,7 miliardi di rial o 56,37 miliardi di dollari, +23% rispetto ai livelli di fine 2019. Di questi, il 76% risulta denominato in valute straniere. Tra questo il prossimo anno, l’Oman dovrà rimborsare scadenze sui mercati internazionali per 10,7 miliardi di dollari. Il solo deficit del 2021 dovrebbe attestarsi sui 2,24 miliardi di rial, di cui 1,6 miliardi finanziati a debito e 600 milioni attingendo alle riserve valutarie. Queste, all’ottobre scorso, risultavano salite a 17,6 miliardi di dollari. Bisogna considerare, poi, che l’Oman possiede anche un fondo sovrano da oltre 13 miliardi. E secondo le indiscrezioni, già questa settimana il paese dovrebbe ottenere prestiti bancari tra 1,1 e 2 miliardi di dollari.
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Una crisi fiscale da non sottovalutare
Il rating sovrano omanita è molto basso, “non investment grade” secondo tutte le principali agenzie di valutazione: B+ per S&P, BB- per Fitch e Ba3 per Moody’s. In effetti, presenta una situazione fiscale tutt’altro che solida. Il principale esportatore di petrolio non OPEC del Golfo Persico ha bisogno di quotazioni per il Brent in area 82 dollari al barile per chiudere il bilancio statale in pareggio, livelli di oltre il 45% più alti di quelli attualmente vigenti sui mercati internazionali.
D’altra parte, il nuovo sultano, salito al trono da appena un anno, si è già impegnato a tagliare la spesa pubblica e ha introdotto l’IVA al 5% per rimpinguare le casse pubbliche e allentare la dipendenza dal petrolio. Un altro fattore che giocherebbe a favore della solidità effettiva dell’Oman sarebbe la sua collocazione geopolitica. Nell’ultimo mezzo secolo, ha funto da riferimento per le mediazioni nell’area, tra l’altro mostrandosi equidistante da Arabia Saudita e Iran. Questo aspetto complica, tuttavia, l’eventuale capacità del sultanato di ricevere aiuti immediati da Riad, a differenza di quanto accaduto in questi anni con il Bahrein. Difficile, però, che in caso di crisi fiscale venga lasciato solo, anche per l’instabilità che scatenerebbe ai danni dei tassi di cambio dell’area, tra cui il “peg” saudita. Ad ogni modo, dai minimi toccati nel marzo scorso, all’apice delle tensioni finanziarie internazionali, i bond omaniti in dollari hanno registrato un vigoroso rally: la scadenza gennaio 2048 ha segnato un rialzo di oltre il 75%, portandosi quasi alla pari, mentre il febbraio 2025 è salito del 7%, tornando sopra la pari.
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