Si è aperto un “giallo” nella giornata di ieri, allorquando la stampa italiana ha riportato una notizia del quotidiano conservatore spagnolo Abc, il quale avrebbe avuto accesso a documenti riservati del Venezuela e da cui emergerebbe un finanziamento di 3,5 milioni di euro dell’allora regime di Hugo Chavez al nascente Movimento 5 Stelle, ancora ignoto a gran parte della popolazione italiana e che segnalava ampiamente un programma politico contrario al capitalismo. Secondo la ricostruzione, i fondi arrivarono per mezzo di un’unità dell’intelligence militare e vennero ricavati dall’allora ministro dell’Interno, Tarek el Aissami, attuale numero due del regime di Nicolas Maduro, che gli USA hanno sanzionato per essere considerato a capo di un cartello internazionale del narcotraffico.
La deriva venezuelana dell’Italia e il rischio di una rabbia sociale incontrollata
Sia Caracas che Davide Casaleggio hanno smentito seccamente la notizia, non nuovissima a dire il vero, con il secondo ad avere anche annunciato azioni legali contro la diffusione di quella che considera una “fake news” bella e buona. In attesa di riscontri, quindi, non possiamo considerare del tutto attendibile la ricostruzione di Abc, sebbene ciò non tolga la doverosa riflessione sulla natura dell’M5S.
I “pellegrinaggi” in Venezuela dei parlamentari grillini nel corso della legislatura passata sono un dato di fatto, il segno di una vicinanza ideale di almeno parte del movimento al regime filo-comunista. Tant’è che, quando agli inizi dello scorso anno il presidente dell’Assemblea Nazionale, Juan Guaido, si autoproclamò capo dello stato e venne riconosciuto tale dagli USA e un’altra cinquantina di governi, il governo “giallo-verde” non poté esprimersi, a causa dell’insistenza con cui l’M5S volle difendere il regime di Maduro da quella che definì un’ingerenza straniera negli affari interni di uno stato.
La cultura “chavista” dell’M5S
Non parliamo di un episodio secondario, che vi siano stati o meno finanziamenti, perché l’Italia è non solo uno stato fondatore dell’Unione Europea e appartenente all’orbita occidentale, ma anche un membro del G7.
In questi due anni al governo, i pentastellati hanno sì compiuto capriole intellettuali come nessun altro partito prima in così breve tempo per rimanere al potere, come sull’Europa; ma il dato costante di questo periodo, trascorso in compagnia sia della Lega che del PD, è stato rappresentato dall’avversione del movimento alla libertà d’impresa, dal ritorno a una cultura statalista e assistenziale e da una sfiducia palese verso il mercato quale motore per la creazione della ricchezza, ancor prima che per la sua redistribuzione. Tutti i cavalli di battaglia dell’M5S sono stati d’impronta dirigista e assistenziale, come l’aumento del deficit, il reddito di cittadinanza, la revoca delle concessioni autostradali ad Atlantia, la battaglia contro ArcelorMittal sull’ex Ilva, la ri-nazionalizzazione di Alitalia, la stretta sui contratti di lavoro a termine, l’uso della CDP per fare politica industriale, la chiusura domenicale dei negozi, etc.
5 Stelle dilaniati sullo scudo penale mettono a rischio gli interessi nazionali
Il modello Venezuela non è mai stato un mistero per quanti conoscano la radice anti-sistema del movimento. La crisi economica esplosa con il Coronavirus ha riportato a galla molte delle istanze alla base del programma grillino, che sono emerse attraverso una gestione accentrata e quasi autoritaria del potere nelle difficili settimane del “lockdown”, con una campagna verbale aggressiva nei confronti delle opposizioni, ree di non collaborare con il governo nel nome di un’unita nazionale pretesa solo a parole e mai perseguita con la pratica del confronto reale con Parlamento e parti sociali.