Si moltiplicano i commenti favorevoli alla garanzia unica sui depositi, nota anche come EDIS (“European Deposit Insurance Scheme”). L’ex commissario agli Affari monetari e oggi governatore della banca centrale finlandese, Olli Rehn, si è appellato perché la fiducia verso il sistema bancario sia “uniforme in tutta l’Eurozona”. Gli fa eco il governatore spagnolo Hérnandez de Cos, che invita a non mettere nel mirino le banche sugli alti livelli di titoli di stato detenuti a bilancio, notando come il modo migliore per minimizzare i rischi sia di rafforzare la resilienza degli istituti.
Tutti d’accordo? Per niente. E per capire chi continui ad essere contrario al completamento dell’unione bancaria con l’introduzione della garanzia unica sui depositi basterebbe leggere altri commenti, ossia quelli di Klass Knot, governatore olandese, che ha chiesto che prima vengano abbattute le eccessive esposizioni a rischio delle banche, ossia i crediti deteriorati e i titoli di stato. E dalla Germania, il presidente delle Sparkassen, Karl-Peter Schackmann-Fallis, ha ribadito la posizione classica dei tedeschi, cioè che una mutualizzazione dei rischi porterebbe a problemi di “azzardo morale” per i policy-maker europei.
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L’opposizione tedesca alla garanzia unica sui depositi
Dunque, Olanda e Germania contro il resto dell’area sull’unione bancaria. E le ragioni dello scontro restano le stesse: nessuna garanzia comune sui depositi, se non prima tutte le banche avranno minimizzato i rischi. La posizione tedesca, in particolare, è chiara e parte dal timore che l’EDIS possa tradursi in un accrescimento dei rischi e degli oneri a carico delle banche e dei contribuenti in Germania, nel caso in cui prima i sistemi bancari più fragili (Italia e Grecia, in testa) non avranno risolto i loro problemi.
Cosa chiede Berlino per dare il suo assenso alla garanzia unica dei depositi e perché questa viene invocata da Commissione europea e BCE? Già nel 2015, Bruxelles aveva messo a punto un piano per garantire tutti i depositi nell’Eurozona fino a 100.000 euro nel caso di risoluzione o di fallimento dell’istituto, così che la fiducia dei risparmiatori non abbia a dipendere dalla sede legale della singola banca. Il timore riguarda l’instabilità indotta nei casi di crisi dallo spostamento dei capitali da uno stato all’altro, a causa dei diversi regimi di tutela dei risparmio ad oggi vigenti. L’Italia, va detto, offre garanzie elevate con il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi su tutte le giacenze fino a 100.000 euro, per cui formalmente non avrebbe nulla da guadagnarci da uno schema unico europeo. In realtà, assicurare la stabilità dei sistemi bancari nell’area nei casi di tensioni locali o internazionali sarebbe un bene per tutti, Italia compresa.
Affinché la Germania possa avallare una garanzia unica sui depositi, però, pretenderebbe di essere rassicurata su Npl e bond sovrani. I primi andrebbero abbattuti in maniera più drastica. Già dall’aprile scorso è entrata in vigore la nuova disciplina dell’“addendum”, che obbliga le banche a coprire interamente i crediti deteriorati iscritti a bilancio a partire da quest’anno entro il massimo di due anni, se sprovvisti di coperture ed entro sette anni, se coperti. La Bundesbank aveva chiesto alla Vigilanza della BCE che l’addendum entrasse in vigore retroattivamente, ovvero che fosse esteso anche agli Npl pregressi, un fatto che avrebbe avuto contraccolpi enormi sul capitale delle banche più esposte, tra cui quelle italiane, il cui rapporto tra prestiti a rischio e il totale erogato ammonta a quasi l’11%, circa 2,5 volte la media europea e 5 volte quella tedesca.
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Il costo per l’Italia dell’unione bancaria
In teoria, i tedeschi potrebbero chiedere alla Vigilanza di tornare al progetto iniziale e di obbligare le banche dell’area ad accelerare l’abbattimento di tutti gli Npl. Non solo, la Bundesbank vorrebbe anche che le esposizioni verso i debiti sovrani nazionali venissero ridotte. Le proposte essenzialmente sarebbero due: legare la quantità massima di titoli di stato in portafoglio al patrimonio o alla massa attiva e/o porre fine all’anomalia di trattare tali titoli come se fossero privi di rischio (“risk free”), costringendo gli istituti ad accantonare un capitale minimo a copertura delle potenziali perdite, legate magari al rating. In questo modo, verrebbe meno la distorsione provocata dalla disparità di trattamento tra prestiti ai privati (famiglie e imprese) e quelli allo stato. L’Italia subirebbe un duro colpo anche attraverso una tale misura, essendo sui 370 miliardi di euro il valore dei BTp detenuti dalle nostre banche, circa un quinto dei prestiti totali.
Converrebbe all’Italia spingere sulla garanzia unica sui depositi, dovendo pagare con ogni probabilità come contropartita sui crediti deteriorati e i BTp? Non esattamente e non è un caso che il nostro Paese non sia in prima fila per ottenere il completamento dell’unione bancaria. Il costo che la Germania ci chiederebbe di sostenere supererebbe forse di gran lunga i benefici, almeno nel breve termine, visto che il Tesoro si ritroverebbe a pagare rendimenti più alti per le nuove emissioni dei bond e il nostro sistema bancario dovrebbe ricapitalizzarsi in fretta per decine di miliardi, provocando un “credit crunch” depressivo per l’economia italiana.
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