Non è un buon periodo per i marchi del lusso, che stanno pagando il rallentamento dell’economia cinese. Ma il settore cerca di reagire alla crisi ed è già da un paio di anni che alcune società consentono ai clienti di effettuare i pagamenti in criptovalute. E’ il caso di Ferrari, che ha lanciato questa possibilità nel 2022 e che l’anno scorso l’ha estesa all’Europa dopo avere ottenuti risultati di successo sul mercato americano. Il Cavallino Rampante ha fatto presente che, nel momento stesso in cui avviene l’operazione, sarà sua cura convertire il ricavo in moneta fiat.
Marchi del lusso fiutano l’affare crypto
Sempre nel 2022 marchi come Gucci, Balenciaga (entrambi parte del gruppo Kering), Tag-Heuer e Burberry (entrambi del gruppo Lvhm) hanno aperto ai pagamenti in criptovalute. I più grandi store di Gucci negli Stati Uniti mettono a disposizione del cliente un codice QR e un’opzione scan-and-pay, tra cui a New York e Los Angeles.
Qual è il senso di consentire ai clienti di effettuare pagamenti in criptovalute? Attirare una nuova fascia di clientela, che per ragioni principalmente anagrafiche è maggiormente incline ad usare Bitcoin, Ethereum, ecc., come mezzo di scambio. I giovani sono la grande scommessa dei marchi del lusso. Anni addietro, ad esempio, il mercato dei diamanti temette che la domanda sarebbe scesa proprio tra i millenials, meno inclini allo sfoggio della ricchezza e con ideali più egualitari delle generazioni precedenti. A conti fatti, però, tali timori si sono rivelati in parte infondati.
Dietro all’apertura ai pagamenti in criptovalute può esserci di più. Il lusso è spesso anche un investimento. Una Ferrari o un orologio Tag-Heuer tendono a conservare il loro valore nel tempo, se non ad accrescerlo. E c’è un’ampia area del pianeta in cui sorge quotidianamente la necessità di mettere in salvo i capitali da svalutazioni e perdita del potere di acquisto.
Pagamenti in criptovalute restano marginali
Ora che Bitcoin è salito fino a 108.000 dollari con la vittoria di Donald Trump, la febbre da crypto sale. Ma sarebbe saggio effettuare i pagamenti in criptovalute? Se è vero che queste siano nate ufficialmente per tale ragione, nei fatti hanno assunto ad oggi un’altra funzione. Più che da mezzo di scambio, fungono da asset per investimenti di natura speculativa. Neanche a El Salvador, unico stato al mondo in cui Bitcoin è stato reso valuta legale, esso ha attecchito nei pagamenti. La ragione è chiara: pagheresti un bene o un servizio sbarazzandoti di una moneta che può valere anche molto di più dopo qualche giorno o mese?
E allo stesso tempo, i pagamenti in criptovalute restano accettati da poche società per la ragione opposta, ossia per la paura che questi asset perdano rapidamente valore. Questa situazione può cambiare con l’amministrazione Trump. Se si diffonde un senso di rassicurazione circa la solidità di Bitcoin, in particolare, molti inizieranno ad accettarlo come metodo di pagamento. Ma fintantoché le quotazioni saliranno, in pochi verosimilmente se ne priveranno per fare acquisti.