Michel Barnier è stato il primo ministro a capo del più breve governo nella storia della Quinta Repubblica. E non meritava il trattamento a cui è stato sottoposto nelle ultime settimane, culminato con il voto di sfiducia all’Assemblea Nazionale. Non è eccessivo affermare che sarebbe stato il migliore inquilino di Palazzo Matignon almeno degli ultimi trenta anni. Persona di altri tempi, capace e intellettualmente onesto. Ieri sera, 331 deputati di Rassemblement National e Nuovo Fronte Popolare, cioè destra e sinistra radicali, lo hanno bocciato dopo giorni tesissimi di dibattito attorno alla legge di bilancio per il 2025.
Dimissioni di Macron dopo 3 governi in 30 mesi?
Procediamo con ordine. Macron ottenne il secondo mandato nella primavera del 2022, ma senza conquistare la maggioranza assoluta dei seggi in Assemblea. Da allora ha divorato l’uno dopo l’altro tre primi ministri: Elisabeth Borne, Gabriel Attal e Michel Barnier. La prima fu licenziata dopo avere varato una storica riforma delle pensioni. Il secondo era stato nominato all’inizio di quest’anno, forse nella speranza che avrebbe rinvigorito i consensi per la maggioranza centrista. Invece, alle elezioni europee il partito del presidente otteneva un catastrofico 14% contro il 31% del Rassemblement National di Marine Le Pen.
Elezioni anticipate e niente maggioranza
In un impeto di sfida (a chi?), a giugno Macron scioglieva a sorpresa l’Assemblea Nazionale e perdeva nettamente il primo turno in favore di Le Pen. Per evitarne la vittoria anche al secondo, stringe accordi nei collegi con la coalizione di sinistra. Questa s’impone in termini di seggi, ma lontanissima dalla maggioranza assoluta. L’Eliseo si prende più di due mesi per nominare il nuovo primo ministro con la scusa dei Giochi Olimpici. La figura di Barnier, ex commissario europeo di provenienza conservatrice e già negoziatore per l’Unione Europea sulla Brexit, risultava del tutto slegata dal contesto parlamentare.
Qualche settimana fa si è scoperto che i giudici francesi, che sono sotto il controllo del Ministero di Giustizia, chiedono che Le Pen venga esclusa dai pubblici uffici per 5 anni per un uso presumibilmente illegittimo dei fondi europei. Avrebbe pagato i collaboratori, anziché i “dipendenti” del partito. Questione di lana caprina. La sostanza è questa: Le Pen capisce che il ministro socialista Didier Migaud stia complottando per renderla incandidabile alle prossime elezioni presidenziali. Perché mai avrebbe dovuto continuare a sostenere l’esecutivo senza avere un proprio ministro, né il riconoscimento formale di soggetto politico e con il tintinnio di manette agitato dalle parti di Matignon?
Macronismo disastro per la Francia
Arriviamo al voto di censura di ieri, che ha portato alla caduta del governo. Destra e sinistra invocano le dimissioni di Macron, che il diretto interessato definisce “fantapolitica”. Entro oggi sarà nominato un nuovo primo ministro e con ogni probabilità risulterà nuovamente sconnesso dai numeri parlamentari. Questo è il “macronismo”, una forma di tecnocrazia personalistica imposta a tutti e indipendentemente dalle condizioni politiche. Non ha funzionato e non funzionerà neanche questa volta. L’aspetto di cui nessuno parla è, però, la sostanza. Barnier era stato incaricato di “salvare la Francia”, i cui conti pubblici collassano. Già, ma chi li ha gestiti negli ultimi sette anni e mezzo?
Servono una gran faccia tosta e una dose illimitata di disonestà intellettuale per addossare le responsabilità del caos a chi ieri, legittimamente dal proprio punto di vista, ha votato la sfiducia. La verità è che Macron ha portato la Francia al disastro fiscale con una politica di vuote parole e di impegni non mantenuti in sede europea.
Dimissioni di Macron opportune
Ma dovrebbe essere il responsabile di questo caos a farsi da parte. Le dimissioni di Macron non sono fantapolitica. E’ vero che egli abbia tutto il diritto di portare avanti il suo secondo mandato fino alla scadenza naturale del 2027. Nessuno lo potrà mai costringere al passo indietro. Eppure, sarebbe una questione di opportunità. La sua figura è diventata semplicemente “tossica” e poiché anche nel suo partito le figure più spendibili per l’Eliseo già guardano avanti, è verosimile immaginare che anche tra i centristi ci sia scarsa voglia di sostenere un governo presumibilmente impopolare e di corto respiro. Se il presidente sciolse l’Assemblea invocando la chiarezza, è naturale che i suoi oppositori gli chiedano di andare fino in fondo per ottenerla. La tecnocrazia personalistica ha fatto il suo tempo.