Il Made in Italy segnala un po’ di affaticamento, occhi aperti agli Stati Uniti

Il Made in Italy tiene a galla l'intera economia del Bel Paese, anche se gli ultimi dati dell'Istat invitano alla prudenza sul trend futuro.
1 settimana fa
2 minuti di lettura
Made in Italy a gonfie vele, ma occhio agli Usa
Made in Italy a gonfie vele, ma occhio agli Usa © Licenza Creative Commons

Gli ultimi dati dell’Istat a proposito della nostra bilancia commerciale sono positivi. Nel mese di luglio, il saldo tra esportazioni e importazioni di beni è stato positivo per 6,74 miliardi di euro, in crescita su base annua del 6,8% in valore e del 4,3% in volume. Nei primi sette mesi dell’anno, il segno più sale a 35,89 miliardi contro i 15,89 miliardi dello stesso periodo del 2023. In altre parole, il Made in Italy migliora esattamente di 20 miliardi le esportazioni nette, qualcosa come quasi l’1% del Pil.

Ma le esportazioni nel complesso non sono affatto aumentate in valore: 373 miliardi contro i 373,1 miliardi nel confronto annuale. In pratica, migliora il saldo in quanto scendono le importazioni, perlopiù grazie ai minori costi dell’energia. La crescita dell’economia italiana, quindi, resta fortemente dipendente dalla domanda straniera di beni e servizi, sebbene l’Ufficio Studi di Confidustria preveda un miglioramento della domanda interna (ma un peggioramento della bilancia commerciale) con il taglio dei tassi di interesse. Esso libererà risorse a favore delle famiglie.

Germania in crisi, Stati Uniti determinanti

Ma c’è poco da stare sereni. Nel 2023 abbiamo esportato verso la Germania merci per oltre 80 miliardi di dollari e importato da essa per quasi 97 miliardi. Pur in presenza di un disavanzo nell’ordine dei 15 miliardi di euro, il nostro sistema di imprese vende ai tedeschi per un controvalore pari al 4% del Pil. E la Germania non se la sta passando per nulla bene. L’annuncio di ieri di 15.000 licenziamenti Volkswagen con la chiusura di tre stabilimenti è la punta dell’iceberg.

Ancora una volta, trainanti si rivelano gli Stati Uniti. Sempre nei primi sette mesi dell’anno, secondo il Census Bureau, le esportazioni nette dell’Italia sono state pari a 26,93 miliardi di dollari. Nello stesso periodo dell’anno scorso, erano state di 26,95 miliardi. In pratica, sono rimaste stazionarie. Già questo deve accendere un primo campanello di allarme.

Poiché è verosimile che i prezzi siano cresciuti, in volume avremmo registrato un calo. Nulla di drammatico, ma il problema è che il mercato a stelle e strisce vale oggi oltre i due terzi del nostro saldo commerciale attivo. Addirittura, nell’intero 2023 valse quasi il 120%. In pratica, esso più che coprì i disavanzi registrati nel resto del mondo.

Rischi da Stati Uniti tra crisi e cambiamenti politici

Il Made in Italy risulta particolarmente apprezzato negli Stati Uniti. Questa è un’ottima notizia, trattandosi anche del mercato dei consumi più grande e ricco del mondo. D’altra parte, l’estrema concentrazione pone problemi nel caso in cui l’economia americana andasse in malora. Il rischio di recessione non si è ancora concretizzato, anzi sembra persino allontanarsi con gli ultimi dati macro. Il Pil cresce, il mercato del lavoro resta in piena occupazione e l’inflazione si sta abbassando verso il 2%. Tuttavia, gli analisti restano convinti che nel medio termine esistano buone probabilità che gli Stati Uniti si contraggano.

Indipendentemente da una crisi, c’è da fare i conti con possibili cambiamenti normativi. I dazi minacciati dal candidato repubblicano Donald Trump anche verso l’Europa sono una bella grana per il Made in Italy. Chiunque vinca le elezioni presidenziali di novembre, poi, dovrà prima o poi mettere mano all’immenso debito pubblico, esploso a circa 35.000 miliardi di dollari. E’ stato il deficit spending enorme di questi anni ad avere sostenuto la prima economia mondiale, costituita per il 70% dai consumi. Ma per quanto altro tempo ancora Washington potrà permettersi di ignorare una crisi fiscale sempre più all’orizzonte?

Made in Italy appeso anche al cambio euro-dollaro

Certo, c’è da dire che se negli anni prossimi il Tesoro sarà costretto a tagliare la spesa e/o ad alzare le tasse per risanare i conti pubblici, d’altra parte si prevede che la Federal Reserve tagli i tassi di interesse.

Un costo del denaro più basso aumenterà il reddito disponibile delle famiglie, particolarmente indebitate negli States. E ciò sosterrebbe il nostro Made in Italy, dando impulso alle importazioni americane. Tuttavia, se il rafforzamento del cambio euro-dollaro (più che) neutralizzasse gli effetti espansivi sui consumi, sarebbe una cattiva notizia per le nostre imprese. A quel punto dovremmo augurarci che l’austerità a Washington funzionerà meglio di quanto accaduto in Europa negli anni pre-Covid.

[email protected] 

 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

concordato preventivo biennale
Articolo precedente

Concordato preventivo biennale. Le regole per l’adesione entro il 31 ottobre (circolare n°18)

Emissione nuovi BTp indicizzati all'inflazione?
Articolo seguente

Il rendimento del BTp a 10 anni scende ai minimi da 25 mesi, c’entra la legge di Bilancio