Domenica scorsa, l’OPEC scuoteva il mondo con l’annuncio di un taglio all’offerta di petrolio per 1,16 milioni di barili al giorno, comprendendo i paesi esterni al cartello con cui esiste da anni una stretta collaborazione. Tra questi, spicca la Russia di Vladimir Putin. La reazione dei mercati non si è fatta attendere. I prezzi del Brent sono schizzati da meno di 80 dollari al termine della settimana scorsa agli 85 dollari di giovedì scorso, ultima seduta di contrattazione per via delle festività.
Il gioco è valso la candela per l’OPEC guidato dall’Arabia Saudita? Premesso che sia presto per fare calcoli definitivi, se immaginiamo che i prezzi restino di circa 5 dollari al barile più alti rispetto a quelli precedenti all’annuncio, la risposta è affermativa. In effetti, l’OPEC+ – così è chiamato l’insieme tra i membri del cartello e i paesi esterni con cui essi collaborano – produce intorno ai 44 milioni e mezzo di barili al giorno. Il taglio annunciato dell’offerta equivale a circa il 2,6% dei barili estratti. Ma il rialzo dei prezzi è stato in media del 6%.
OPEC e alleati incasseranno +45 miliardi in un anno
Facendo due calcoli, otteniamo che la produzione perduta ai prezzi pre-annuncio equivale a circa -34 miliardi di dollari di minori entrate in un anno. D’altra parte, i restanti barili che saranno estratti ai nuovi prezzi faranno introitare quasi 80 miliardi in più. Al netto, il saldo si mostra positivo per oltre 45 miliardi.
Chiaramente, i principali beneficiari saranno quei paesi che sono stati esentati dai tagli, tra cui Iran e Nigeria. Essi otterranno solo i vantaggi derivanti dalla vendita del petrolio a prezzi più alti. D’altra parte, si tratta di economie deboli e che sarebbero incapaci di ottemperare a un taglio dell’offerta, a causa delle condizioni finanziarie precarie in cui versano.