Le giustificazioni che Pietro Grasso ha dato a Piazzapulita (Grasso a Piazzapulita solo senza Travaglio) non hanno convinto Marco Travaglio che, in attesa della puntata di Servizio Pubblico di stasera, ha anticipato la sua contro-risposta sul sito Il Fatto Quotidiano di cui è vicedirettore. Il giornalista ironizza sul modus operandi: quasi due ore di intervista concordata per difendersi da tre minuti di accuse ben mirate. Poi passa direttamente ai contenuti definendo il neo presidente del Senato un “pubblico mentitore e approfitta del fatto che i suoi colleghi della Procura di Palermo non possono andare in tv a sbugiardarlo”.
Appello Andreotti e la mancata firma di Grasso: tecnicismi o convenienza?
La vexata quaestio riguardava l’astensione di Grasso alla firma dell’atto di appello per bloccare l’assoluzione di Andreotti in primo grado. Il Presidente del Senato fornisce motivazioni tecniche: essendo sentito come testimone nel processo non poteva aderire all’appello altrimenti i giudici di appello non lo avrebbero potuto interrogare. Ma allora perché non appone neppure il “visto” rituale? Perché questa volontà di volersi tagliare fuori nettamente fingendo perfino di non aver letto il plico dell’impugnazione? La sua è stata una chiara presa di posizione che gli ha fatto peraltro guadagnare i complimenti del Foglio di Ferrara e del Velino di Jannuzzi. Nelle successive indagini sulle stragi, che Grasso, in qualità di procuratore nazionale antimafia, ha coordinato per anni, non si è mai astenuto pur essendo stato chiamato a testimoniare più volte sui suoi rapporti con Falcone
Caso Giuffrè: il pentito segreto
Non convincono Travaglio neppure le giustificazioni del caso del pentito Antonino Giuffrè, fedelissimo di Provenzano. Grasso non avverte i pm antimafia né le procure di Firenze e Caltanissetta e per tre mesi, durante i week end, lo interroga da solo, clandestinamente, nel carcere di Novara.
Ciancimino e il mistero delle intercettazioni ignorate
Nel 2005 Grasso lascia Palermo. Dai cassetti della Procura saltano fuori documenti fondamentali, ma inspiegabilmente trascurati, sui rapporti mafia-politica (tra cui perfino intercettazioni del prestanome di Vito Ciancimino, il ragionier Lapis, e un pizzino che prometteva l’appoggio a B. in cambio di una tv Fininvest). Grasso ha detto con un sorriso beffardo che Ciancimino ai tempi non avrebbe collaborato: è un motivo sufficiente per non fargli neppure domande?
Nomina di procuratore nazionale antimafia: le leggi anti-Caselli
L’accusa che più ha colpito l’orgoglio del Presidente del Senato è quella sulla nomina a procuratore nazionale antimafia, ottenuta grazie a tre leggi, volute dal governo Berlusconi, che di fatto tagliavano fuori il concorrente, Gian Carlo Caselli, dal concorso per la Dna. Grasso dice di non aver “ottenuto” le norme perché lui non aveva chiesto nulla. La domanda allora è: perché il governo guidato Berlusconi si sarebbe scomodato per favorirlo e a sua insaputa? Grasso inoltre ha insinuato che il Csm avrebbe potuto procedere alla nomina del Pna in un plenum straordinario, anticipando l’entrata in vigore della terza e decisiva legge anti-Caselli. Quest’ultimo quindi dovrebbe piuttosto prendersela “con i colleghi che impedirono la decisione”. Ma come avrebbe potuto il Csm deliberare in una settimana (la commissione Incarichi direttivi aveva dato 3 voti a lui e 3 a Caselli il 12 luglio 2005 e il 20 luglio è stata approvata la terza legge) posto che uno dei relatori delle candidature doveva ancora stendere le motivazioni? Ma a parte tutto Grasso (ex art. 105 della Costituzione) avrebbe dovuto rifiutare quelle leggi che di fatto rappresentavano un’interferenza incostituzionale del Governo nella nomina dei magistrati al Csm
Travaglio-Grasso: a quando il duello faccia a faccia?
A Piazzapulita Grasso avrebbe negato anche di aver mai minacciato di querelare Travaglio e avrebbe poi lamentato di non poter ottenere un confronto faccia a faccia.