Era il 26 luglio 2012. L’Eurozona era sull’orlo del collasso finanziario. Italia e Spagna erano sotto attacco, lo spread BTp-Bund a 10 anni era arrivato a 532 punti base, nonostante il governo Monti fosse in carica da 8 mesi e avesse approvato una manovra “lacrime e sangue” con il Decreto Salva-Italia. L’economista Nouriel Roubini aveva da poco preconizzato la “tempesta perfetta”, che avrebbe travolto la moneta unica entro l’estate. Anche i più ottimisti erano convinti che all’euro rimanessero poche settimane di vita e che sarebbe stato spazzato via dalla caduta dell’Italia, troppo grande per fallire, ma anche troppo grande per essere salvata.
La speculazione si arresta
La tempesta speculativa si arresta, sui bond dell’Eurozona tornano gli acquisti, dapprima timidi, timidissimi, ma con il trascorrere dei giorni si fanno copiosi. Gli spread si restringono, perché in quella stessa conferenza stampa Draghi annuncia di studiare un piano di emergenza contro l’allargamento eccessivo del divario tra i rendimenti sovrani dell’Eurozona. Il piano fu presentato il 6 settembre successivo, noto formalmente come Outright Monetary Transactions (OMT) o anche più volgarmente come “anti-spread”. Sta di fatto che gli investitori iniziano a convincersi che la BCE farà di tutto per impedire la rottura dell’Eurozona, che l’euro sia irreversibile.
Dall’OMT al QE, due vittorie di Draghi
Tre anni dopo, l’esistenza dell’euro non pare minacciata. La Corte Costituzionale tedesca ha rinviato la questione di legittimità dell’OMT alla Corte di Giustizia UE, che ha sentenziato nell’unico modo che poteva per salvare l’architettura dell’unione monetaria: il piano di Draghi non è incompatibile con lo statuto della BCE, né con i Trattati. Mai come prima la Grecia, esattamente 2 settimane fa, è stata sul punto di uscire dall’euro, ma non per questo si è temuta realmente la fine dell’Eurozona, anche se poco fa l’FMI ha avvertito che il rischio contagio non sarebbe stato del tutto scongiurato, a causa delle falle presenti nella costruzione monetaria europea. APPROFONDISCI – Contagio per ora limitato sui mercati dell’Eurozona, ovvero la Grexit è più probabile Con il “quantitative easing”, annunciato il 22 gennaio scorso e attuato sin dal 9 marzo, la BCE ha da un lato abbassato tutti i rendimenti sovrani ai minimi storici, ad eccezione di quelli della Grecia, dall’altro ha aumentato le rassicurazioni nei confronti del mercato sul fatto che, nel caso si realizzasse lo scenario peggiore per Atene, l’istituto avrebbe creato un cordone di sicurezza attorno all’Eurozona.
Banche Grecia, le critiche a Draghi
Con i fondi ELA, i prestiti di emergenza, Draghi si è esposto a critiche pesanti e contrapposte. Da un lato, gli si rimprovera di avere chiuso i rubinetti della liquidità per i greci, dall’altro di averne sostenuto le banche oltre l’inverosimile. In sostanza, l’azione della BCE è stata politicizzata, nonostante il governatore abbia chiaramente espresso l’intenzione di non volersi assumere responsabilità finali sulla Grecia, di competenza dei governi, quindi, frutto di scelte politiche. Sullo sfondo di queste critiche e di questi quasi 4 anni di guida dell’istituto resta il rapporto ambiguo con il principale azionista, la Germania. La cancelliera Angela Merkel ha sempre sostenuto pubblicamente l’operato di Draghi, pur limitandosi a dichiarazioni formali, data la linea seguita dalla politica tedesca di non commentare ciò che decide la banca centrale.