Materie prime ai massimi dal crac di Lehman Brothers, per l’inflazione è un pessimo segnale

L'indice CRB segnala che i prezzi delle materie prime sono saliti ai massimi da agosto 2008, un segnale preoccupante per l'inflazione.
4 settimane fa
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Materie prime ai massimi dal crac Lehman Brothers
Materie prime ai massimi dal crac Lehman Brothers © Licenza Creative Commons

Banche centrali impegnate a tagliare i tassi di interesse, ma con un occhio sempre vigile all’andamento dell’inflazione, che ha spinto pochi giorni fa la Federal Reserve a prendersi una pausa. E l’indice Commodity Research Bureau (CRB) invia loro un brutto segnale: i futures sulle materie prime non erano stati così alti dall’agosto del 2008, poco prima che Lehman Brothers dichiarasse il crac finanziario. Ha raggiunto i 377 punti, segnando una crescita annuale del 20%. E poiché esso fa riferimento al dollaro, una valuta che in media ha guadagnato nell’ultimo anno quasi il 4% contro le altre valute mondiali, l’impatto per le economie all’infuori degli Stati Uniti è stato ancora più pesante.

Indice CRB ai massimi dal 2008

L’indice CRB capta l’andamento di 19 materie prime: alluminio, argento, avena, benzina, bestiame, cacao, caffè, cotone, carne di maiale, farina, gas, gasolio, naturale, nickel, oro, petrolio, rame, succo d’arancia, soia e zucchero. E sappiamo quanto queste impattino sul costo della vita di tutti i giorni, cioè sui tassi d’inflazione. Guardate il grafico di sotto:

Inflazione mondiale
Inflazione mondiale © Licenza Creative Commons

Inflazione mondiale in ripresa?

Esso fornisce il trend dell’inflazione mondiale secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale. Andando al precedente picco del 2008, si nota che esso coincise con un’accelerazione dell’inflazione a una media del 6,3% dal 4,1% del 2007 e ai massimi da un decennio. Nell’ultimo quinquennio, abbiamo assistito a un tonfo storico delle materie prime con i lockdown disposti contro la pandemia, seguito da una brusca risalita nei due anni successivi. E anche in quel caso, l’inflazione mondiale passò da una media del 3,3% del 2020 all’8,6% del 2022, ai massimi dal 1996.

Ancora oggi, il livello di crescita dei prezzi al consumo si confà alla situazione degli anni Novanta, quando la globalizzazione era ancora in uno stadio poco avanzato.

In sostanza, il boom delle materie prime, iniziato nella primavera del 2023 e che da allora segna un rialzo del 26%, porterebbe a una nuova accelerazione dell’inflazione. Se anche questa tendesse a livelli ben inferiori rispetto ai picchi di tre anni fa, sarebbe più che sufficiente per interrompere il taglio dei tassi tra le principali banche centrali. A sua volta, ciò avrebbe ripercussioni pesanti sia sui mercati finanziari che per l’economia reale. Tanto per fare un esempio, il mercato obbligazionario rischierebbe una nuova “gelata” ed investimenti e consumi frenerebbero fino a provocare una probabile recessione in Europa, ma forse anche negli stessi Stati Uniti.

Materie prime a rischio dazi

Tra l’altro, questi maxi-rialzi dei prezzi non stanno tenendo conto dell’effetto dazi. L’amministrazione Trump ha appena annunciato tariffe al 25% sulle importazioni di acciaio e alluminio. Poiché è prevedibile che gli altri governi reagiranno con misure ritorsive di pari entità, l’effetto sarà un aumento dei costi per le materie prime e altri beni. C’è il rischio che il boom che notiamo sul grafico sia solo l’inizio di una curva destinata a salire ulteriormente prima di ripiegare rovinosamente, magari in coincidenza con una crisi globale.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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