Si sono conclusi Giochi Olimpici di Parigi 2024 e per l’Italia è stata la conferma di un trend ascendente per quelli che ci ostiniamo ancora a definire “sport minori”. Il medagliere ci vede in nona posizione, una più in alto rispetto a Tokyo 2020. E anche stavolta abbiamo vinto le stesse medaglie d’oro della Germania. Ma mentre in Giappone eravamo finiti sotto per il minore numero di argenti, ora siamo sopra per i 15 bronzi contro gli 8 degli atleti tedeschi. Piccole soddisfazioni, che ci consentono forse di spingerci un po’ oltre con la fantasia.
Medagliere specchio degli squilibri economici mondiali
Volendo traslare sul piano economico i risultati sportivi, potremmo affermare che Berlino fa qualche passo indietro, mentre l’Italia compie qualche passettino in avanti. E’ quanto sta accadendo con il Pil, ma sarebbe obiettivamente una forzatura fare paragoni tra il medagliere e la situazione economica degli stati partecipanti. Anche se le prime dieci posizioni vedono ben sei membri del G7. Manca all’appello solamente il Canada, che troviamo in dodicesima posizione.
E’ vero che la bravura di un atleta trascende dalla condizione socio-economica dello stato che rappresenta ai Giochi Olimpici, ma resta fuori di dubbio che solamente nazioni con elevata capacità di investire negli sport e in infrastrutture possono arrivare in alto nel medagliere.
Paragone con ex Urss
Il medagliere dice anche qualcosa di più sull’Italia. Non solo che ori, argenti e bronzi arrivano perlopiù da atleti residenti nel Centro-Nord (torniamo al discorso delle infrastrutture e delle condizioni socio-economiche), ma anche che c’è vita oltre al calcio. Già, perché avevamo iniziato questa discussione parlando della rivincita (l’ennesima) degli sport minori. Rispetto a cosa? A Sua Maestà il calcio. E questo ci racconta di un declino mentale in corso da decenni. Avete presente come fallì l’Unione Sovietica? Per farvela breve, lo stato pompava risorse crescenti verso le industrie che non riuscivano a centrare gli obiettivi degli scriteriati programmi quinquennali. A forza di sussidiare le produzioni meno efficienti e di abbandonare quelle più efficienti, si arrivò al collasso.
Sport minori abbandonati nel nome del calcio
Lo sport in Italia vive da tempo qualcosa di simile. Il calcio ci ha regalato l’ultima grande soddisfazione nel lontano 2006 con la vittoria ai mondiali. Di lì in avanti un declino arrestato solamente – e forse incidentalmente – dagli europei del 2020, disputati nel 2021 a causa del Covid. Eppure l’attenzione massmediatica, finanziaria e politica resta concentrata su questo sport, salvo scoprire ogni quattro anni ai Giochi Olimpici che nel mondo siamo forti in altri e che abbiamo atleti dalle sembianze spesso eroiche. Riescono a salire sul podio tra l’indifferenza generale nei lunghi anni di faticosa preparazione.
La situazione è così tragica che di asta in asta la Serie A non riesce più neanche a migliorare le entrate del triennio precedente sui diritti tv. Gli sponsor latitano, gli abbonamenti scendono e per attirare tifosi negli stadi spesso i biglietti vengono svenduti.
Medagliere segnala rischio crac sportivo
E’ vero, arriviamo spesso nelle finali dei torni europei, ma raramente alziamo una coppa. Eppure in Parlamento ci si inalbera sulla legge Melandri, su come mutare o meno i diritti tv per il calcio, ignorando che lo sport sia diventato perlopiù altro nel Bel Paese. Nessuno vuole minimizzare l’importanza storica che ha avuto e continua ad esercitare sulle masse. Semplicemente, a forza di impiegare energie e risorse su qualcosa che il mercato si rifiuta di comprare (vi ricorda per caso le auto elettriche?), rischiamo la fine dell’ex Urss. Un crac sportivo, insomma, specchio di una società incapace di ripensare a sé stessa. Grazie al medagliere per avercelo anticipato.