Meglio la pensione minima o l’assegno sociale? Ecco le differenze

Le differenza tra trattamento minimo pensioni INPS e assegno sociale, i limiti di reddito, gli importi e cosa sapere al riguardo per poter scegliere.
1 anno fa
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assegno sociale
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Spesso confuse tra loro, ci sono due misure INPS assai particolari. La pensione è sempre argomento delicato, soprattutto dal punto di vista degli importi delle prestazioni. Ma parlare di pensione per l’assegno sociale non è giusto. L’unica cosa che oggi accomuna l’assegno sociale a una classica pensione è l’età. Per il resto l’assegno sociale è assistenziale, le pensioni in genere sono previdenziali. Anche i requisiti sono diversi, perché l’assegno sociale fa riferimento a situazioni reddituali particolari. Le stesse situazioni cui fa riferimento l’integrazione al trattamento minimo, stavolta riguardanti le pensioni.

“Buonasera, volevo chiedervi un chiarimento riguardo alla mia probabile futura pensione. Sto arrivando ai 67 anni di età (li compio a gennaio 2024). Ormai da anni faccio la casalinga, sono single e, quando lavoravo, ho racimolato esattamente 20 anni e 6 mesi di contributi. Dovrei poter andare in pensione con il trattamento di vecchiaia a 67 anni più 20 di contributi. Ma da quanto apprendo, potrei rischiare di prendere meno rispetto a chi va in pensione con l’assegno sociale. Secondo voi è così? E se così fosse, non sarebbe il caso che anche io opti per l’assegno sociale al posto della pensione di vecchiaia? Sempre se si può. Grazie anticipatamente per la vostra eventuale risposta.”

Meglio la pensione minima o l’assegno sociale? Ecco le differenze

Pensione minima e assegno sociale non sono la stessa cosa. Ma spesso queste cose vengono confuse tra loro, generando dubbi e perplessità. Le differenze tra le due cose sono sostanziali. Per pensione minima si fa riferimento all’importo minimo di pensione che l’INPS assegna a un pensionato che non ha redditi troppo elevati e non ha una pensione altrettanto elevata. Per assegno sociale si fa riferimento a una prestazione assistenziale, che l’INPS assegna a chi oltre a non aver diritto a una pensione propria, vive in condizioni economiche precarie.

Ecco perché le due cose non possono assolutamente essere confuse.

Assegno sociale INPS, cos’è questa prestazione

pensione

L’assegno sociale è una prestazione economica che lo Stato per il tramite dell’INPS, eroga a soggetti con una età pari o superiore a 67 anni, e che prescinde dai contributi versati. Come si nota, l’età è quella della pensione di vecchiaia, altrimenti detta età pensionabile. Ma per la pensione di vecchiaia servono almeno 20 anni di contributi, per l’assegno sociale invece non servono versamenti previdenziali. Quindi, l’assegno sociale è appannaggio di soggetti che non hanno versato abbastanza contributi, o non li hanno versati proprio, per poter accedere alla pensione. Per ottenere l’assegno sociale oltre ad avere 67 anni di età già compiuti, ed essere cittadini italiani o di un Paese UE o extracomunitari con permessi di soggiorno, serve la residenza effettiva e continua in Italia. Infatti bisogna risultare residenti in Italia da almeno 10 anni. E poi occorre rispettare le già citate condizioni reddituali che sono:

  • 6.542,51 euro annui;
  • 13.085,02 euro annui se il soggetto è coniugato.

L’assegno sociale è pari a 503,27 euro al mese per 13 mensilità. Ma l’importo intero spetta solo a determinate condizioni. E sempre in collegamento coi redditi del pensionato e del coniuge se questi è presente. Hanno diritto all’assegno sociale pieno:

  • Non coniugati con reddito zero;
  • Coniugati con un reddito cumulato tra i coniugi, inferiore al totale annuo dell’assegno.

Per contro, l’assegno sociale viene erogato in misura ridotta per:

  • Single con reddito inferiore all’importo annuo dell’assegno;
  • Coniugati con reddito cumulativo compreso tra l’ammontare annuo dell’assegno ed il doppio dell’importo annuo dell’assegno.

Integrazione al trattamento minimo, ecco come si arriva alla pensione minima

Le pensioni minime sono da sempre argomento di attualità ogni qual volta si parla di riforma del sistema pensionistico italiano.

Questo perché evidentemente spesso le pensioni degli italiani sono di importo basso. Pochi contributi versati, o contributi di scarso valore determinano un trattamento previdenziale che in molti casi è prossimo o più basso, dell’importo soglia della povertà. E lo Stato, sempre per il tramite dell’INPS, interviene, con questa integrazione al trattamento minimo.

Sarebbe l’integrazione che il recentemente compianto Silvio Berlusconi, quando era Premier, portò al famoso milione di lire. Ed è l’integrazione che oggi anche la maggioranza del Governo attuale vorrebbe portare a 1.000 euro. Ipotesi e progetti, ma nulla ancora di concreto. Resta il fatto che già oggi esiste l’integrazione al minimo che porta ad un livello più dignitoso pensioni che tanto per essere chiari, a volte è più bassa anche di 503 euro che è la cifra prima citata per l’assegno sociale in misura intera.

Come funziona l’integrazione al trattamento minimo delle pensioni INPS

Meglio l’assegno sociale quindi rispetto alla pensione di vecchiaia se con 20 anni di contributi si prende meno di trattamento? Una domanda lecita questa. E sarebbe anche lecito rispondere di si, perché effettivamente a conti fatti spesso 20 anni di contributi si trasformano in una pensione che stenta ad arrivare a 500 euro al mese. In questo ambito però si inserisce ciò di cui trattiamo, ovvero la pensione integrata al trattamento minimo. La pensione minima è un’integrazione economica che lo Stato corrisponde a chi percepisce una pensione di importo inferiore alla soglia di sopravvivenza e serve per portare ad essere più dignitosa questa prestazione. Anche in questo caso bisogna avere 67 anni di età, aver versato almeno 20 anni di contributi e avere determinate condizioni reddituali.

Importi, redditi e regole dell’integrazione al trattamento minimo INPS per il 2023

Nel dettaglio occorre che l’interessato abbia redditi individuali o coniugali, rispettivamente fino a 7.329 euro e fino a 21.986 euro. Naturalmente queste soglie sono quelle dell’integrazione piena al trattamento minimo. Infatti per chi supera queste soglie ma non supera i 14.657 euro da single e i 29.314 euro, ha diritto ad una integrazione parziale.

Per l’anno 2023 il trattamento minimo ha due differenti importi in base all’età del pensionato. Infatti il trattamento minimo delle pensioni INPS per chi ha meno di 75 anni compiuti è pari a 572,20 euro al mese per tredici mensilità. Per gli over 75 invece il trattamento minimo sfiora i 600 euro al mese per 13 mesi, precisamente pari a 599,82 euro al mese.

 

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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