C’è stato tempo per parlare anche del Ddl Capitali alla conferenza stampa della premier Giorgia Meloni, che da “fine anno” è stata trasformata in “anno nuovo” a causa di un problema di salute. Sul finire della lunga maratona di domande, un giornalista in sala stampa ha chiesto se le nuove regole sulla lista del CDA possano allontanare gli investimenti e rendere ingovernabili i grandi gruppi aziendali. La premier ha difeso il provvedimento, in via di approvazione in Parlamento, ribaltando la narrazione e, anzi, notando che porterebbe a conseguenze esattamente opposte, vale a dire che avrebbe una portata favorevole al mercato.
Il board di Generali trema
Ecco di cosa parliamo. Nel Ddl Capitali è stata inserita una norma, pur ammorbidita rispetto al testo iniziale, che punta a limitare il meccanismo per cui alcuni Consigli di Amministrazione perpetuano sé stessi. In pratica, essi vengono rinnovati di elezione in elezione senza che l’assemblea degli azionisti possa scegliere una nuova composizione del board. Con le nuove regole in dirittura di arrivo, vengono apportate due modifiche: in primis, il board può presentare una lista propria con il voto favorevole dei due terzi dei suoi componenti; la lista del CDA deve contenere un numero di candidati pari ad almeno un terzo in più dei consiglieri da eleggere.
Con questa riforma, le minoranze rappresentate nei CDA avrebbero possibilmente un potere di veto, a patto chiaramente di superare il terzo dei seggi. E l’assemblea degli azionisti disporrebbe perlomeno della possibilità di scegliere quali tra i candidati proposti eleggere e quali no. Un affievolimento del potere assoluto dei board uscenti, che ha indisposto non poco Philippe Donnet, CEO di Generali. Egli ha attaccato il provvedimento, paventando il rischio di ingovernabilità nelle grandi aziende.
Nagel a rischio in Mediobanca
In effetti, il Ddl Capitali riguarda molto da vicino Generali e la controllante Mediobanca.
In Mediobanca le cose non andrebbero meglio per il CEO Alberto Nagel, sfidato non solo da Caltagirone, ma anche da Delfin, la holding che fa capo alla famiglia Del Vecchio. I due azionisti di minoranza potrebbero persino invocare, alla luce delle nuove regole, un rinnovo anticipato del board a pochi mesi di distanza dall’ultima elezione.
Il Ddl Capitali servirebbe, maligna qualcuno, per effettuare un ribaltone nel salotto buono della finanza tricolore, spodestando la vecchia guardia in favore dell’imprenditoria domestica. La premier ha dichiarato un’ovvietà quando ha fatto notare che tutto ciò che assegna maggiori poteri agli azionisti di minoranza è ben visto dal mercato. In effetti, è così. Questa nuova norma dà fastidio non agli investitori, bensì ai CDA uscenti. La sua entrata in vigore vivacizzerebbe le relazioni tra azionisti e attirerebbe nuovi capitali verso società quotate in borsa e ad oggi con un management considerato inamovibile.
Nel Ddl Capitali anche il voto maggiorato
D’altra parte, i timori di ingovernabilità risultano spropositati anche per effetto del contemperamento apportato da un’altra norma del Ddl Capitali e che riguarda il cosiddetto “voto maggiorato“. Ogni azionista avrebbe a disposizione in assemblea fino a 10 voti, in relazione agli anni di detenzione del titolo. La norma punta a favorire gli azionisti di lungo corso, premiando gli assetti stabili e al contempo impedendo il protrarsi della fuga delle società in Olanda per blindare il controllo proprietà.
La disciplina sul voto maggiorato sarà progressiva, assegnando un voto in più all’anno per ogni anno di detenzione del capitale. Pertanto, i suoi effetti si vedranno nel lungo termine. Se da un lato dovrebbe frenare il fenomeno del delisting a Piazza Affari, dall’altro rischia di indebolire i nuovi investimenti in borsa da parte di attori potenzialmente interessati alla governance. Guarda caso, sul punto non sono arrivate critiche da parte del gotha industriale-finanziario domestico.