Meloni e Lagarde contro il ritorno alla “vecchia governance”, resta la discordia sul MES

Il MES resta pomo della discordia tra governo Meloni e resto d'Europa, ma la premier ha trovato un'intesa con Lagarde sulle regole fiscali.
1 anno fa
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Meloni e Lagarde unite su Patto stabilità, divise dal MES
Meloni e Lagarde unite su Patto stabilità, divise dal MES © Licenza Creative Commons

C’è stato un incontro importante la settimana scorsa che riguarda l’Italia e si è tenuto a Bruxelles tra la premier Giorgia Meloni e il governatore della Banca Centrale Europea (BCE), Christine Lagarde, al margine dell’Eurosummit. Le due donne si sono trovate d’accordo sulla necessità di non tornare alla “vecchia governance” dell’Unione Europea. Tradotto: no alla riattivazione da gennaio del vecchio Patto di stabilità dopo la sospensione in pandemia. Il numero uno di Francoforte ha anche mostrato preoccupazione per la crescita nell’Eurozona, la stessa espressa il giorno prima in conferenza stampa dopo avere tenuto i tassi di interesse invariati.

Meloni e Lagarde contro vecchie regole fiscali

Le distanze in questi mesi con Meloni sono state tante. Una ha riguardato proprio la politica monetaria, con la nostra premier ad avere attaccato sin dal suo insediamento a Palazzo Chigi l’aumento dei tassi per combattere l’inflazione. Un altro fronte di scontro sotterraneo è stato ad oggi il MES, acronimo per Meccanismo europeo di stabilità. La riforma varata in era Covid non è stata ratificata solamente dall’Italia, che così ne impedisce l’entrata in vigore. Lagarde ha chiesto esplicitamente nei mesi scorsi che entri in funzione il prima possibile per lanciare messaggi rassicuranti ai mercati.

La pressione sul MES arriva con sempre maggiore frequenza dall’Eurogruppo, il cui presidente Paschal Donohoe ha invitato anche venerdì scorso l’Italia a ratificare la riforma, pur non ufficialmente e mostrandosi rispettoso della dialettica democratica a Roma. Lagarde e Meloni, dunque, condividono l’idea di non tornare al vecchio Patto. Esso consisterebbe nel porre un tetto al deficit al 3% del PIL e al debito pubblico al 60%. Il governo italiano chiede di scomputare gli investimenti per la transizione energetica, digitale e le spese militari a favore dell’Ucraina dal computo del deficit. La Germania ad oggi si oppone.

Bruxelles rifiuta logica pacchetto

E cosa c’entra il MES? Formalmente, Meloni sostiene che la riforma potrà essere votata solo quando si conoscerà la “cornice delle regole” fiscali europee. Nei fatti, il governo porta avanti la logica del “pacchetto”; una sorta di “do ut des”: a voi interessa ottenere il via libera sul MES, a noi un Patto più flessibile. Bruxelles rifiuta a priori di confrontarsi su questo schema. Formalmente, ogni discussione è indipendente dall’altra. La politica, però, non è rigida come i tecnocrati. Il problema è capire quale potrebbe essere il punto d’intesa.

La richiesta italiana non è nuova, tanto che la fece propria persino Silvio Berlusconi agli inizi del millennio, pur in condizioni storiche differenti. Essa ha una logica: se l’Unione chiede ai governi di investire nella transizione green e nella digitalizzazione, oltre che di sostenere militarmente l’Ucraina, allora le relative spese non potranno rientrare nel computo del deficit, altrimenti si avvantaggerebbero solo i paesi con margini fiscali disponibili come la Germania. Tra l’altro, molte di queste spese rientrano nel Pnrr, per cui sarebbero più facili da individuare.

Stallo su MES e nuovo Patto

Ma ci troviamo a uno stallo alla messicana: da un lato l’Italia non vota il MES senza sapere cosa contenga il nuovo Patto, dall’altro l’Unione non vota il nuovo Patto senza il via libera italiano al MES. Il Parlamento italiano ha calendarizzato per fine novembre il dibattito sul MES, mentre il nuovo Patto dovrà essere votato entro dicembre per entrare in vigore a gennaio. I tempi appaiono strettissimi. In caso di ok di Roma, i leader europei avrebbero un paio di settimane di tempo per fissare le nuove regole fiscali. Lo spread è salito a 200 punti tra BTp e Bund per buona parte a causa di queste incertezze.

L’Italia non conosce ancora se nel 2024 si troverà a dover rispettare una normativa fiscale rigida vecchio stampo o più flessibile e in quali modalità.

La stessa Lagarde si è espressa contro l’incertezza. Sa che il rischio sarebbe di essere chiamata in prima persona ad agire per spegnere un eventuale incendio relativo allo spread. E gli strumenti a sua disposizione non sono così efficaci come sembrano. L’incontro con Meloni sarà stato perlopiù formale, ma potrebbe avere avviato una discussione ai piani alti per cercare di sbloccare l’impasse.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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