Meloni prova a porre un freno alla spesa pubblica e striglia i suoi ministri

La premier Giorgia Meloni è stata chiara all'ultimo Consiglio dei ministri: la spesa pubblica nei ministeri va tagliata, troppe voci di bilancio appaiono eccessive.
2 mesi fa
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La manovra di bilancio per il 2025 sarà compresa tra 25 e 30 miliardi di euro e quasi tutto l’importo servirà a finanziare voci di spesa obbligate, come il rinnovo dei contratti per il Pubblico Impiego, nonché il taglio di Irpef e contributi Inps già varato temporaneamente e che dovrà essere confermato. Grazie alle entrate fiscali superiori alle stime, nel governo si respira un’aria relativamente serena, anche se la premier Giorgia Meloni ha voluto essere esplicita all’ultimo Consiglio dei ministri: la spesa pubblica nei ministeri va tagliata.

E ai singoli dicasteri ha chiesto di fornire entro breve le indicazioni delle voci da sfoltire. “I vostri dirigenti queste voci non le conoscono o non ve le dicono”, ha dichiarato.

Giorgetti minaccia tasse o tagli coattivi

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha rincarato la dose: “volete un aumento delle tasse o un taglio della spesa pubblica?”. E in questo secondo caso, ha fatto presente che o saranno i singoli ministri ad offrire volontariamente il proprio contributo o il Tesoro interverrà di sua iniziativa. Le cifre parlano chiaro. Nei primi otto mesi dell’anno, le spese generali nei ministeri, inclusi trasferimenti e investimenti, sono salite a 704,9 miliardi di euro dai 662,8 miliardi dello stesso periodo dell’anno scorso. I ministeri che esitano i maggiori rialzi sono Economia con 464,5 miliardi (da 433,6), Lavoro con 125,1 miliardi (da 112,6) e Made in Italy con 14,6 miliardi (da 10,9).

Questi numeri ci dicono che la spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, è cresciuta tendenzialmente del 6,35% contro un’inflazione cresciuta nello stesso periodo per meno dell’1%. Su base annuale, salirebbe a poco meno di 1.060 miliardi. Sarebbe bastato anche solo dimezzare la crescita di quest’anno per recuperare una trentina di miliardi, l’importo occorrente per la legge di Bilancio. Ma mai nessun governo – e in Italia ne abbiamo avuti letteralmente di ogni colore o senza insegne – è riuscito a compiere una simile “rivoluzione”.

Lotta agli sprechi sempre a parole

Frenare la crescita della spesa pubblica appare un esercizio impossibile nel Bel Paese. E all’estero non è che sia più semplice. Non c’è un dicastero che non indichi ogni anno un fabbisogno superiore all’anno precedente per una percentuale maggiore dell’inflazione. In pratica, ogni ministro e dirigente pubblico tende ad ottenere dallo stato un incremento delle risorse anche in termini reali. A pagare sono i contribuenti, il cui gettito fiscale sale costantemente e ciononostante non basta mai a coprire le uscite. Prima ancora di cincischiare di evasione fiscale, bisognerebbe legare le mani a chi spande e spende i denari pubblici.

Possibile mai che non riusciamo anche solo a trovare tra le pieghe del bilancio statale possibili risparmi per l’1-2% del totale? Con questa logica nel 2013 il governo Letta nominò commissario alla “spending review” Carlo Cottarelli, già funzionario del Fondo Monetario Internazionale. Questi si sarebbe dimesso un anno dopo, spiegando di trovare “inutile” il suo lavoro, visto che la politica nei fatti cestinava le sue analisi senza neanche leggerle. Da allora non è cambiato nulla, come non era cambiato nulla nei venti anni precedenti. Non c’è un premier che non abbia debuttato con il buon proposito di lottare contro gli “sprechi”, salvo lasciarne al successore più di quanti ne abbia trovati.

Spesa pubblica in crescita incessante

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare di beneficiari che strillano quando si toccano le loro tasche. Quello che per il contribuente è uno spreco, per una esigua minoranza di italiani si traduce in stipendi o sussidi. E non sottovalutate la capacità delle minoranze di fare rumore grazie alla stampa compiacente di turno. La difesa di interessi corporativi è strenua. La spesa pubblica servirebbe, in teoria, ad erogare servizi al cittadino.

Nei fatti, si è trasformata nei decenni in una mangiatoia per burocrati e assistiti. Invertire il trend sarà difficilissimo anche per Meloni e le resistenze le arriveranno dai suoi stessi ministri, che come tutti i predecessori identificano il loro potere personale con la quantità di risorse gestite. I tagli volontari non ci saranno. Dovrà metterci mano Giorgetti, che a sua volta avrà le mani legate dai partiti della maggioranza.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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