Detassare i titoli di stato? Potrebbe essere questa una soluzione per sostenere il debito pubblico italiano invogliando piccoli e grandi risparmiatori a comprare Btp in futuro.
Come noto lo Stato italiano ha allargato i cordoni della borsa per sostenere l’emergenza coronavirus, senza alcun vincolo di spesa pubblica. Fondi che potranno affluire nel tessuto economico solo ricorrendo a maggior debito pubblico da ripagare col tempo.
Detassare i titoli di stato
Posto che oltre 9 mila miliardi di ricchezza nazionale è nelle mani dei privati (più di tre volte il debito pubblico), le strade da percorre per sostenere un debito pubblico maggiore sono due: o mettere aggiungere nuove tasse, come proposto di recente dal PD, o comprarsi il proprio debito e quindi spostare la ricchezza dal settore privato a quello statale.
Anche le banche premono per la detassazione dei Btp
A spingere in questa direzione è anche il mondo bancario che vede di buon occhio un maggior interesse da parte dei privati cittadini a comprare il proprio debito pubblico scartando a priori l’introduzione di nuove tasse. Un secco no a “ogni forma di ulteriore tassazione” arriva dal presidente dell’Abi Antonio Patuelli in merito alle diverse ipotesi di tassazioni o ai progetti per finanziare la ripresa legata alla crisi per il coronavirus. Occorre pensare, chiarisce, “senza coercizione e con strumenti di incoraggiamento a emissioni di titoli di Stato simili a quelli lanciati dall’Italia nel 1944 per la ricostruzione. Potrebbero essere esenti da tassazione“. E l’occasione potrebbe presentarsi con la prossima emissione del Btp Italia.
Aumentare il coinvolgimento dei risparmiatori
L’argomento è da qualche giorno all’attenzione del Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che ha dichiarato che nelle intenzioni del Mef c’è l’obiettivo di “aumentare il coinvolgimento di investitori retail domestici per collocare in modo efficace una parte del debito aggiuntivo reso necessario dalla crisi economica in atto”. Un chiaro messaggio che potrebbe presto portare a una defiscalizzazione degli investimenti in Buoni del Tesoro Poliennali, Certificati di Credito (CCT) e Bot. Attualmente l’imposta su questi strumenti finanziari ed equiparati è pari al 12,50%, sia sugli interessi (cedole) che sui guadagni (capital gain). Nonostante si tratti di un regime di tassazione privilegiata rispetto a tutti gli altri strumenti finanziari (26%), solo il 3% del debito pubblico è in mano a risparmiatori italiani retail.
L’imposta sui titoli di Stato
Quasi impossibile azzerare l’imposta sui titoli di stato poiché si rischierebbe di penalizzare il debito bancario e corporate su cui grava il 26% di tassazione. Inoltre verrebbero a mancare grpssi introiti nelle casse dello Stato. Tuttavia è probabile che si possa agire limando l’imposta sui Btp abbassandola in maniera tale da invogliare più risparmiatori possibili a comprarli. Il problema, però – mettono in guardia gli esperti – è che non si può agire su singole emissioni, ma è necessario coinvolgere tutti i titoli di Stato, quindi anche quelli già emessi. Un’alternativa potrebbe essere quella di incrementare il premio fedeltà sui Btp Italia (attualmente allo 0,4% per chi li tiene fino a scadenza), ma poi si rischierebbe di aumentare alla lunga lo stock di titoli da rimborsare e i titoli da rifinanziare col rischio di gonfiare a dismisura una bolla sul debito pubblico già abbastanza grande.