Se il cambio euro-dollaro ieri prendeva una sberla sulle attese di una Banca Centrale Europea (BCE) meno “falco” nei prossimi mesi, lo yen ha proseguito la scia positiva delle ultime settimane. Il tasso di cambio contro il dollaro è sceso fin sotto 130,60, attestandosi ai massimi livelli da oltre sette mesi a questa parte. Dai minimi toccati ad ottobre, quando il cambio oltrepassò la soglia di 150, lo yen si è rafforzato del 15% contro il biglietto verde. Tuttavia, il 2022 si è chiuso ugualmente in profondo rosso: -14%.
Fine Abenomics attesa imminente
Ad aprile, arriva a scadenza di mandato il governatore Haruhiko Kuroda, in carica da dieci anni. Insieme all’ex premier Shinzo Abe, ucciso la scorsa estate durante un comizio a due anni dalle dimissioni per motivi di salute, diede vita a una politica economica ribattezzata dalla stampa Abenomics. Essa ha poggiato in questi anni su tre pilastri: taglio del deficit fiscale, riforme pro-crescita e politica monetaria ultra-espansiva. Chiaramente, Kuroda si è occupato di quest’ultima, portando i tassi d’interesse in territorio negativo e acquistando titoli di stato in quantità impressionanti. Pensate che, a fronte di un debito pubblico superiore al 260% del PIL, circa il 43% è nelle mani della Banca del Giappone.
Tuttavia, la fine a breve dell’era Kuroda lascia ipotizzare al mercato l’avvio di una politica monetaria meno espansiva. L’istituto si riunisce il 18 gennaio prossimo, ma quasi certamente non annuncerà alcun rialzo dei tassi. Invece, potrebbe aumentare le stime sull’inflazione nipponica. Sarebbe un possibile segnale circa le intenzioni del futuro governatore, il cui nome resta al momento ignoto.
Estrema debolezza yen superata
Dunque, la fase di estrema debolezza per lo yen sarebbe alle spalle. D’ora in avanti, mentre il resto del mondo alzerà di poco il costo del denaro o lo lascerà invariato, la Banca del Giappone compierebbe il percorso opposto. Ciò consentirebbe al cambio almeno di riportarsi ai livelli di fine 2021, cioè in area 115 contro il dollaro. Sappiamo anche, però, che una stretta in Giappone difficilmente assumerebbe le sembianze di quella negli USA ed Europa. Anzitutto, l’inflazione nel Sol Levante resta contenuta (3,8% a novembre). E c’è da considerare che l’altissimo debito pubblico non consentirebbe un aumento vigoroso dei tassi senza destabilizzare i conti pubblici.
Sta di fatto che il mercato abbia iniziato a scontare la fine dell’Abenomics. Nessuno dei due protagonisti di questa lunga stagione tra qualche mese sarà più in carica. Resta la necessità di potenziare il tasso di crescita dell’economia dopo decenni di stagnazione. Ma la scorciatoia monetaria non è servita quasi a nulla, se non a contenere la spesa per interessi su un debito esploso per effetto degli enormi stimoli fiscali varati dai governi. Anch’essi rivelatisi inutili per rianimare il PIL. Il raddoppio a sorpresa della banda di oscillazione consentita ai rendimenti sovrani a 10 anni è stato a dicembre il primo segnale di un cambio di passo.