Fine della crisi per il mercato globale dei bond dopo un 2022, per usare un eufemismo, problematico? Guai ad esultare all’89-esimo minuto di una partita. La storia del calcio ci insegna che “partita finisce quando arbitro fischia”. E il 90-esimo minuto rischia di riservarci qualche grossa sorpresa, negativa s’intende. Per prima cosa, stiamo dando per scontata la fine dell’inflazione. I dati indicano che sia in calo dai massimi toccati nell’autunno scorso un po’ ovunque nel mondo, ma resta molto al di sopra dei target fissati dalle banche centrali e dalle medie degli ultimi decenni.
A questo quadro che invita alla prudenza si aggiunge per il mercato dei bond il capitolo Giappone. La scorsa settimana, si è sparsa la speculazione sulla possibile nomina di Kazuo Ueda a capo della banca centrale. L’accademico non ha idee molto note agli investitori circa la conduzione della politica monetaria. Tuttavia, il solo fatto che il governo vorrebbe fare ricorso ad una risorsa esterna per la successione ad Haruhiko Kuroda ha fatto risalire i rendimenti sovrani. Il bond a 10 anni offre oggi esattamente lo 0,50%, soglia massima tollerata dall’istituto dopo il raddoppio di dicembre.
Il Giappone tiene ancora i tassi negativi e continua ad acquistare copiosamente titoli di stato in controtendenza rispetto al resto del mondo. Poiché questa policy è considerata non sostenibile con un’inflazione ormai al 4% e il rialzo dei tassi globale, già nel corso del 2022 gli investitori domestici hanno liquidato debito straniero per 181 miliardi di dollari e investito nel debito nipponico per 30.300 miliardi di yen, circa 230 miliardi di dollari. Dobbiamo ricordarci che al 30 settembre scorso il Sol Levante presentava una posizione finanziaria netta con l’estero di 3.175 miliardi di dollari, oltre il 60% del PIL.
Mercato dei bond esposto al cambio di policy in Giappone
E’ evidente che se i rendimenti obbligazionari in patria saliranno con il cambio di policy, verrà meno la convenienza a puntare sui titoli stranieri. Ad essere sinceri, ciò avviene già oggi. Se è vero che i rendimenti nipponici siano ridicolmente bassi lungo la curva, d’altra parte il costo per la copertura valutaria rende gli investimenti nei bond stranieri insostenibile. Bloomberg riporta che il rendimento di un T-bond a 10 anni, oggi nominalmente al 3,74%, scende al -1,30% per un investitore del Giappone dopo l’hedging.
Per quale motivo sta accadendo? Valute come il dollaro sono attese in calo nei prossimi anni contro lo yen. Dunque, assicurarsi contro il rischio di cambio costa sempre di più. E questa è la conseguenza dell’attesa di un rialzo dei tassi d’interesse e della cessazione degli acquisti della Banca del Giappone sul mercato dei bond sovrani domestici. Il paese detiene oltre 1.000 miliardi di dollari di T-bond. Se riducesse le esposizioni smettendo di rifinanziare le scadenze o vendendo i titoli americani, la pressione sui prezzi innescherebbe inevitabilmente un rialzo dei rendimenti. Ed essendo i T-bond un riferimento per il mercato dei bond mondiale, i rendimenti salirebbero anche nell’Area Euro. L’entità dello shock può variare da una piccola scossa sismica a un vero tsunami in conseguenza di un terremoto di forte intensità. Quando si muove Tokyo, il tremolio dall’Estremo Oriente si avverte anche in Occidente.