Settimana in altalena per il comparto obbligazionario, quella appena trascorsa. Dopo i forti rialzi registrati fuori dall’Italia fino alla prima decade di marzo, i corporate bond hanno iniziato a ripiegare, oggetto di vendite a pioggia fino a quando la BCE non ha varato un piano da 750 miliardi di euro, denominato “Pandemic Emergency Purchase Programme” (PEPP), togliendo le castagne da fuoco ai governi di Italia, Spagna e Portogallo, oltre alla Grecia, i quali iniziavano ad avvertire la pressione crescente dei mercati finanziari.
Sappiamo che quando i rendimenti crescono, i prezzi dei bond diminuiscono e viceversa. L’entità della variazione dei prezzi rispetto a quella dei rendimenti è determinata dalla cosiddetta “duration”, un indicatore che segnala gli anni necessari all’obbligazionista per rientrare del capitale attraverso il pagamento delle cedole. In altre parole, è espressione anche della volatilità potenziale del titolo. La duration si esprime in anni, ma si differenzia dalla durata residua del bond, per quanto tenda a seguirla. Risulta quasi sempre inferiore a quest’ultima, tranne nel caso di un bond senza cedola, per cui coincide con essa. In nessun caso, però, può superare la durata residua.
Per investire in bond conta la cedola, non solo il rendimento
E la duration a sua volta è legata alla cedola da un rapporto inversamente proporzionale. Per sintetizzare: più alta la cedola, più bassa la duration e minore la volatilità del prezzo, cioè il prezzo tende a variare di meno rispetto al rendimento. In Germania, negli ultimi anni i rendimenti negativi dei Bund, specchio della caccia globale ai beni rifugio e dell’elevata liquidità sui mercati, hanno contribuito a deprimere i rendimenti di tutto l’obbligazionario tedesco, con stato, imprese e banche a potersi permettere di emettere bond con cedole sempre più basse, tanto che nell’agosto scorso è stato collocato sul mercato il primo Bund a 30 anni senza cedola.
Basse cedole, alta volatilità
Ma un mercato obbligazionario caratterizzato da basse cedole si configura come molto esposto alla volatilità. E quando i prezzi salgono, gli obbligazionisti festeggiano, ma quando iniziano a scendere sono guai. Prendete Thyssenkrupp. Il suo bond febbraio 2025 e cedola fissa 2,5% (ISIN: DE000A14J587) quotava sopra la pari fino al 5 marzo, mentre venerdì scorso risultava sceso a 70 centesimi, segnando un impressionante -30% in appena due settimane. In effetti, nel frattempo è passato dal rendere poco meno del 2,50% all’offrire il 12%. Se avesse avuto una cedola più alta, il prezzo sarebbe sceso a livelli più alti per tendere a un rendimento del 12%.
Sempre Thyssenkrupp ha visto scendere di circa il 10% il bond “callable” novembre 2020 e cedola 1,75% (ISIN: DE000A14J579), risalendo ieri in area 95, ma rendendo ugualmente troppo per un titolo di soli 8 mesi di durata residua, cioè oltre il 17%. E venendo allo zero coupon sovrano, il Bund agosto 2050 (ISIN: DE0001102481), ha esibito in poche settimane un’estrema volatilità. Apriva l’anno sotto 90 centesimi, risaliva all’apice di quasi 116 del 9 marzo e ripiegava a 95 centesimi giovedì scorso, risalendo a 99 nell’ultima seduta settimanale. Dunque, in breve è passato da un rendimento di circa un terzo di punto percentuale a uno del -0,50%, tornando in territorio positivo subito dopo. In effetti, quest’ultimo bond non ha alcuna cedola a frenare i rialzi quando i rendimenti scendono e i ribassi quando questi aumentano.
Il Bund 2050 senza cedola conferma i rischi delle obbligazioni ultra-lunghe
Se si teme la volatilità, un problema nel caso si abbia intenzione di disinvestire prima della scadenza, sarebbe opportuno guardare più ai bond con duration non elevata, cioè di durata non lunga ed eventualmente, a parità di longevità, a quelli con cedola più alta. Certo, i guadagni sarebbero inferiori se le cose migliorassero, ma così anche le perdite nel caso in cui peggiorassero.