Uno strano disequilibrio
Fino a qui tutto bene, o quasi. Nonostante la crisi Covid-19, i mercati finanziari festeggiano, reagendo meglio di quanto ci si aspettava. Gli indici americani, così come il tedesco Dax, sono vicini ai massimi storici e tutti gli indici europei chiudono sopra o leggermente sotto i prezzi di marzo 2020. A voler essere spiritosi potremmo quasi dire che il Covid-19 ci abbia fatto bene. Ma forse è meglio restare seri.
Un contesto, quello con borse sui massimi ed economie in contrazione, sicuramente piacevole rispetto all’alternativa di un crollo dei listini, ma altrettanto sicuramente anomalo.
Fino a qui però niente di nuovo. Questo disequilibrio è infatti ormai noto e facilmente osservabile da alcuni indicatori, come il famoso “Buffett Indicator” esposto nell’immagine di seguito, che mette in rapporto la capitalizzazione del mercato azionario americano con il prodotto interno lordo USA. Siamo sui massimi storici, in corrispondenza di livelli che cominciano a preoccupare qualcuno. In passato, per livelli decisamente inferiori del Buffett Indicator, abbiamo infatti assistito a violente discese del mercato azionario americano.
La domanda adesso è: perché avviene questo disequilibrio? Cosa lo sta provocando e cosa potrebbe mettergli fine? L’assurda spiegazione di tutto ciò, dal mio modesto punto di vista, potrebbe essere la seguente.
L’inefficacia della politica monetaria
Prendiamo per esempio il caso europeo. Normalmente, la liquidità immessa nel sistema economico dalle banche centrali, a seguito di una crisi, dovrebbe servire a facilitare le fonti di finanziamento per banche e imprese ed a garantire la stabilità finanziaria, con una conseguente ripresa dell’attività economica ed un graduale ritorno dell’inflazione. Uno degli obiettivi, infatti, della politica monetaria della BCE è il raggiungimento di un tasso di inflazione del 2%, in linea con una modesta espansione economica. Ma se osserviamo il tasso di inflazione dell’eurozona, nonostante la base monetaria della BCE cresca a dismisura da anni, scopriamo che l’obiettivo di politica monetaria è stato fallito il più delle volte, specialmente dal 2008 ad oggi. In sostanza, la BCE non riesce ad espandere l’economia nella giusta misura ed a raggiungere il suo obiettivo di inflazione del 2%. E per risolvere la situazione cosa fa? Crea sempre più moneta. E più questa non fa effetto, più ne viene creata. L’efficacia della politica monetaria si riduce ogni anno che passa.
Inflazione in Eurozona (linea blu), target BCE del 2% (linea gialla)
Base monetaria BCE (area rossa).
Se volessimo però misurare l’efficacia effettiva di ogni euro stampato dalla BCE ed immesso nell’economia, dovremmo utilizzare la cosiddetta Velocità di circolazione della moneta (V). Questo indicatore è ricavato dividendo il totale del PIL nominale dell’Eurozona per il totale dell’aggregato monetario M3 ed indica “quante volte” viene scambiato (generando PIL) un singolo euro creato dalla banca centrale e dal sistema bancario (M3). Il risultato è rappresentato in figura e parla da sé. Per ogni euro creato dalla BCE e dal sistema bancario, il sistema economico sta diventando sempre più “pigro”, cioè genera sempre meno scambi e quindi sempre meno PIL.
A questo punto, appurato che la moneta in circolazione sia sempre meno efficace e che produca sempre meno prodotto interno lordo, una domanda sorge spontanea: se la moneta creata dalla banca centrale e dal circuito bancario non riesce ad arrivare all’economia reale e non riesce ad espandere l’attività economica ed a creare inflazione, dove finisce tutta questa moneta?
Nella seconda parte di questo studio, che potete leggere più avanti, cercheremo di rispondere a questa domanda e giungeremo ad una conclusione importante. Tutti i nodi, prima o poi, dovrebbero venire al pettine.