Il taglio dei tassi di interesse negli Stati Uniti a giugno non ci sarà, ma per gli investitori non arriverà nemmeno a settembre e crescono le probabilità secondo le quali non sarà annunciato entro l’anno. Stando ai contratti derivati, un primo allentamento monetario si verificherebbe a novembre per lo 0,25%. Resterebbe l’unico per il 2024. E dopo che dal mercato immobiliare sono arrivati in settimana dati evidenti sulla corsa dei prezzi delle case, le speranze che la Federal Reserve possa sorprendere in senso più espansivo si stanno spegnendo.
Peggio degli anni pre-Lehman
L’indice Case-Shiller per il mese di febbraio è salito del 6,4% su base annua, praticamente il doppio del tasso d’inflazione. Nelle prime venti città degli Stati Uniti, i prezzi delle case sono aumentati ancora di più: +7,3%. Il mercato immobiliare non accenna alcun rallentamento. Anzi, a febbraio si è registrata un’accelerazione dal +6% di gennaio. E questo sta avvenendo in un contesto di tassi relativamente elevati. Un mutuo a 30 anni a tasso fisso costa attualmente oltre il 7,30% dal 2,70% di fine 2020. L’apice fu raggiunto nell’ottobre scorso al 7,80%.
Questi dati accendono un certo allarme. Nell’ultimo decennio, i prezzi delle case negli Stati Uniti sono cresciuti in media del 95,3%. In pratica, risultano raddoppiati. Le retribuzioni orarie nel settore privato, invece, sono aumentate del 42,6%, meno della metà. In termini reali, cioè al netto dell’inflazione, le prime hanno segnato un +63,4% contro il +10,7% delle seconde. Numeri di gran lunga peggiori di quelli che si ebbero nel decennio precedente al crac di Lehman Brothers. In quel periodo, i prezzi delle case segnarono +76,5% e le retribuzioni dei lavoratori +67,2%. In termini reali, rispettivamente +44,5% contro +35,3%.
Taglio tassi Fed rischioso con prezzi case in forte crescita
In altre parole, il mercato immobiliare starebbe rivelandosi meno sostenibile degli anni in cui si posero le basi per la crisi dei mutui subprime.
Fintantoché l’economia non segnali un qualche deterioramento apprezzabile che faccia immaginare l’arrivo della recessione nel breve termine, di giustificazioni per abbassare il costo del denaro il governatore Jerome Powell non sembra più averne. Il mercato immobiliare è solo l’ultima in ordine di tempo delle preoccupazioni che si vanno sommando alla Fed. Il punto è che la politica fiscale non sta collaborando. Sarebbe stato necessario tagliare l’alto disavanzo del governo federale per “raffreddare” la domanda aggregata interna e con essa l’inflazione. L’amministrazione Biden, complici le elezioni a novembre, sta andando nella direzione opposta.
Serve correzione del mercato immobiliare
La domanda è fino a quale punto le famiglie saranno in grado di comprare casa. A marzo, per Redfin un immobile in media costava più di 420 mila dollari (+4,8%) e il numero delle compravendite si contraeva del 9,5%. Con tassi così alti, il costo finale rischia di diventare insostenibile per la classe media. La Fed vorrà giustamente evitare che il mercato immobiliare crolli, volendo optare semmai per una correzione. Ma la storia insegna che le banche centrali si trasformano in fonte di destabilizzazione finanziaria quando svoltano in un senso o nell’altro. La Fed ha avviato tardi la stretta monetaria e non ha ottenuto il sostegno sperato del governo. Ora è costretta a tenere i tassi alti più a lungo del previsto. Anzi, un altro aumento non possiamo più escluderlo del tutto.