All’Eurogruppo di questo giovedì l’Italia ha confermato la sua opposizione al nuovo Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha ribadito ai colleghi che nel Parlamento italiano non c’è una maggioranza a favore della ratifica. Il commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni, ha definito “una non discussione” quella che c’è stata a porte chiuse a Bruxelles, come a dire che il dibattito non è stato riaperto. Il presidente Paschal Donohoe ha espresso comprensione per la volontà di Roma di non accedere ai prestiti del Mes in nessun caso, ma ha fatto presente che il via libera non implicherebbe affatto tale obbligo.
Parlamento italiano a maggioranza contrario
Il nuovo Mes prevede un potenziamento del sostegno alle banche commerciali europee in difficoltà, nonché aiuti condizionati agli stati che fronteggiassero una crisi fiscale con annesso mancato accesso ai mercati finanziari. L’Italia resta l’unico dei 27 stati comunitari a non avere approvato la riforma. Sono contrari Fratelli d’Italia e Lega per la maggioranza, Movimento 5 Stelle per l’opposizione. La premier Giorgia Meloni ha chiesto tramite Giorgetti che il Mes venga rivisto per renderlo un meccanismo più accessibile e senza quei rischi reputazionali che infliggerebbe ai paesi che vi ricorressero.
Meloni confida nelle elezioni francesi
La verità è che la ratifica del Mes è osteggiata particolarmente dalla Lega e al contempo Meloni vuole usarla come mezzo di scambio nella partita delle nomine europee in corso. Non a caso Giorgetti ha fatto presente ai colleghi che l’Italia non accetta il trattamento di esclusione che le è stato riservato al Consiglio europeo di questa settimana, quando il presidente francese e il cancelliere tedesco si sono presentati con un piano già pronto del tipo “prendere o lasciare”.
Un’altra verità è che l’Italia ha tutto l’interesse ad attendere l’esito delle elezioni francesi.
Mes legato a partita nomine UE
Il Mes non è mai stato utilizzato da alcun governo, a causa dello stigma a cui andrebbe incontro sui mercati. Si tratta di uno strumento fortemente condizionato, al punto che, paradossalmente, non sosterrebbe uno stato con conti pubblici squilibrati, che sarebbe poi il motivo per cui esso chiederebbe aiuto. A premere per l’approvazione sono gli stati del Nord Europa, gli stessi che si mostrano contrarissimi a qualsiasi emissione di debito comune. Guarda caso, ora che di mezzo ci sono le banche, sono ben disposti ad avallare uno strumento sovranazionale. La partita non è chiusa, ma le speranze che l’Italia firmi ai tempi supplementari sono scarse. A meno che dalla sfornata di nomine non ci sia quel riconoscimento richiesto da Roma e finora negato dalla spocchia di due leader in declino.