L’idea di mettersi in proprio è per molti italiani un sogno (irrealizzato). Tra il dire e il fare c’è di mezzo la paura, dovuta soprattutto alla burocrazia e alle tasse. Ma sono freni concreti o alibi?
Mettersi in proprio, tre lavori da fare che ti dicono se sei pronto
La ricerca, effettuata da Randstad Workmonitor, ha coinvolto 1600 lavoratori di 33 Paesi diversi: ben il 64% degli italiani del campione ha ammesso di essere stanco di lavorare come dipendente ma di temere il fallimento di un’attività imprenditoriale e di non avere i mezzi per affrontarlo.
Perché mettersi in proprio: i soldi non sono tutto
Ma che cosa spinge a volersi mettere in proprio? Non sono i soldi il motivo principale: per molti italiani la maggiore attrattiva sarebbe quella di poter organizzare meglio il proprio tempo, conciliando lavoro e vita privata.
La premessa fatta prima sulla paura di trovare un’occupazione in caso di fallimento, è coerente anche con il fatto che per il 52% degli italiani intervistati si lancerebbe in un’attività imprenditoriale in proprio solo se dovesse perdere il lavoro attuale da dipendente. Insomma in più della metà dei casi l’attività in proprio viene ancora vista come un sorta di “soluzione estrema” per chi ha perso il lavoro e ha difficoltà a trovarne un altro sotto contratto e non come un’alternativa concreta.
Trovare lavoro dopo i 40 anni: ecco come e le migliori opportunità
Leggermente più intraprendenti sono i giovani, anche se questi ultimi hanno ammesso di essere spesso scoraggiati dal peso delle tasse e dalla burocrazia. L’idea che emerge, quindi, è senza dubbio quello che l’Italia non sia il Paese più indicato per mettersi in proprio ma questo lo sapevamo già (come non stupisce che più propensi ad aprire attività siano i popoli del Nord Europa, forti una politica di welfare solida).