Fine settimana turbolento in casa Milan, dopo che il quotidiano La Stampa ha pubblicato la notizia di una presunta indagine della Procura di Milano sulla cessione del club rossonero alla proprietà cinese di Yonghong Li da parte di Fininvest, la finanziaria di casa Berlusconi. Secondo l’autore dell’articolo, i magistrati meneghini vorrebbero capire se dietro all’operazione si possa essere nascosto un riciclaggio di denaro. In sostanza, il Milan sarebbe stato venduto dall’ex premier ai cinesi “a prezzi gonfiati” per rimpatriare capitali dall’estero e ripulirli.
“Tutte le volte che c’è una campagna elettorale e si profila una mia vittoria se ne inventano di tutti i colori”, spiega Berlusconi, che dichiara come sarebbe assurdo immaginare di utilizzare una cessione così mediaticamente clamorosa per cercare di rimpatriare capitali dall’estero.
Le ombre cinesi
Secondo le ricostruzioni del quotidiano torinese, l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia avrebbe redatto tre report sulla vendita del Milan e le sue attenzioni si sarebbero concentrate sulle prime tranches da 300 milioni di euro in tutto versate dai cinesi di Li al Milan tramite una società creata ad hoc e con sede a Hong Kong. La cifra investita di 740 milioni viene giudicata “esagerata”, anche se i giornalisti de La Stampa dimenticano forse quanto forte sia ancora il blasone rossonero all’estero, specie in Asia, nonostante anni di insuccessi e classiche da piangere.
Sempre il quotidiano di Torino nota come a capo del club vi sia oggi la Rossoneri Lux, una holding nel Lussemburgo e che a sua volta viene controllata da un’altra holding lussemburghese, spiega, costituita qualche giorno prima della cessione ed entrambe con sede in paradisi fiscali. E cita un’inchiesta del New York Times di novembre, secondo il quale le attività estrattive della Guizhou Fuquan Group di Li sarebbero dubbie e l’uomo non risulterebbe tra i personaggi più in vista della Cina.
Una cosa sembra assodata: tanta attenzione mediatica sulla proprietà cinese del Milan starebbe rendendo più complicato il rifinanziamento dei 303 milioni di debiti societari, oltre agli interessi, in scadenza nell’ottobre prossimo. Pare che diverse banche d’affari, specie dopo l’inchiesta del quotidiano newyorchese, abbiano deciso di restare alla finestra per un fatto di credibilità e intimoriti dalle consistenze patrimoniali dubbie di Li.
Possibile accordo con banca USA sui debiti
Eppure, nonostante giorni tesi in via Aldo Rossi, pare che qualche schiarita si stia registrando proprio sul fronte debiti. Se le trattative con il fondo Highbridge non hanno portato ai risultati sperati nei giorni scorsi, tanto che il club si sta guardando intorno, un’altra americana si sarebbe affacciata e intenta a rifinanziare tutti i debiti, compresi i 180 milioni in capo a Li e che nessun altro, ad oggi, sembra volere accollarsi: Jefferies. La banca d’affari a stelle e strisce potrebbe così impedire un umiliante passaggio di proprietà dai cinesi a Elliott Management, il fondo che rileverebbe il 99,93% del capitale del Milan, nel caso di inadempienza contrattuale di Li.
Vogliamo rassicurare i tifosi rossoneri: quand’anche la proprietà non pagasse nemmeno un euro dei 180 milioni di debiti contratti per rilevare la società, il Milan non rischierebbe il fallimento, ma semplicemente cambierebbe azionista di controllo. Uno scenario non impossibile, ma nemmeno così probabile, anche perché il fondo di Paul Singer non vuole ritrovarsi in mano una squadra di calcio, ambendo ad essere ripagato in denaro. Certo, se accadesse non sarebbe un buon segnale sulla continuità gestionale del club, specie in ottica UEFA, che tra le regole principali del fairplay finanziario impone alle squadre di assicurare proprio tale continuità. Le sanzioni arriveranno certamente in primavera ed è di quelle che ci si dovrebbe preoccupare.