Javier Milei è a Roma. Ieri mattina, ha presenziato alla canonizzazione della prima donna argentina al Vaticano e ha incontrato subito dopo il connazionale Papa Francesco, a cui in campagna elettorale non le aveva mandate a dire, definendolo “un imbecille che propugna il comunismo”. I rapporti tra i due si sono necessariamente riportati sui binari dell’ufficialità e adesso il presidente argentino sogna che il Pontefice torni a Buenos Aires in visita, in cui ad oggi non si è mai recato da quando nel 2013 succedette a Benedetto XVI.
L’incontro a Roma con la premier Giorgia Meloni
Oggi, invece, incontra i vertici istituzionali italiani: il presidente Sergio Mattarella e la premier Giorgia Meloni. Ella è stata la prima a complimentarsi per la sua vittoria elettorale nel novembre scorso. I due avranno tanto da parlare, perché tra Italia e Argentina esiste da sempre un rapporto speciale. Più della metà della popolazione dello stato sudamericano ha origini italiane. Eppure, se andiamo a controllare i numeri sull’import-export, notiamo che tra queste due economie gli interscambi ammontino appena a 2,5 miliardi di dollari. E pendono a favore dell’Italia: in media, esportiamo circa 1,5 miliardi e importiamo merci per 1 miliardo.
Non a caso Milei è arrivato a Roma accompagnato dalla sorella Katrina, diventata capo della segreteria alla presidenza argentina, dal ministro degli Esteri, Diana Mondino, e da una trentina di uomini di affari. Il nuovo capo dello stato ha bisogno di investimenti stranieri per rianimare un’economia in fortissima sofferenza dopo decenni di peronismo dai risultati devastanti. Insediatosi a Casa Rosada meno di due mesi fa, egli ha già svalutato il cambio del 55%, tagliato i sussidi e la spesa pubblica, approvato una serie di riforme che vanno nella direzione di rendere più libera l’economia e il mercato del lavoro, avviato un piano di privatizzazioni e riallacciato il dialogo con il Fondo Monetario Internazionale per rinegoziare i 44 miliardi di prestiti ottenuti.
Primi ostacoli casalinghi per Milei
Visto il buon inizio, l’istituto ha già sborsato i primi 4,7 miliardi a sostegno delle riforme di Milei. Ma i problemi non mancano. Al Congresso il presidente non ha una propria maggioranza, dovendosi affidare agli alleati del centro-destra, molto più moderati di lui sui temi dell’economia. I giudici hanno iniziato a prendere di mira i suoi provvedimenti, mentre i sindacati sono tornati in piazza per protestare contro quella che considerano una politica da macelleria sociale. Peccato che siano stati silenti mentre la povertà dilagava e l’inflazione esplodeva. Questa è schizzata al 211,4% a dicembre e potrebbe continuare a salire a seguito sia della svalutazione che della liberalizzazione delle tariffe energetiche. Difficile implementare, poi, il piano di dollarizzazione promesso e che passerebbe anche per la chiusura della banca centrale.
Milei rappresenta l’ultima speranza dell’Argentina di uscire dalla sua crisi ormai secolare. Ma Buenos Aires è pregna del clientelismo e dell’affarismo con cui la politica nei decenni passati è andata avanti. Sarà difficile contrastarlo e il primo a saperlo è proprio il presidente. Con Meloni i punti di contatti sono diversi. Li accomunano la visione atlantista, la matrice anti-marxista e la rispettiva volontà di rilanciare il proprio paese nell’arena internazionale. L’Argentina ha bisogno più che mai di amici in Occidente che investano in essa e creano sviluppo, occupazione e PIL.
Argentina e Italia amiche di fatto
L’Italia ha bisogno anch’essa di allargare il proprio raggio di azione. In un mondo in cui pesa il sistema delle alleanze, è più forte chi vanta più amici nelle varie capitali. E l’Argentina è stata colpevolmente trascurata da Roma sin da quando esisteva il Regno. Prova ne è l’incapacità di avere saputo sostenere una classe dirigente di origini italiane, malgrado il favore dei numeri.
Pur in condizioni assai differenti (per nostra fortuna), alcuni temi appaiono comuni nelle agende dei due governi: la necessità di tagliare la spesa pubblica in eccesso, di abbattere la burocrazia, di privatizzare alcuni asset statali e di aprire al mercato dei capitali stranieri. Meloni non è certo “turbo-liberista” quanto Milei, ma il pragmatismo nel governare avvicina i due politici, rendendo l’argentino un po’ più prudente di quando comiziava con una motosega in mano e la nostra premier più incline alla libertà economica di quanto non trasparisse nel programma elettorale.